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SquadDrone: il duo “King Size” si racconta ad Honiro Journal
Uniti dalla comune idea di far volare la musica in alto come un Drone e far vincere i propri ideali come una Squadra, il duo SquadDrone propone un mashup musicale che spazia dal Rap alla Trap, strizzando l’occhio all’Indie. Falco e Reietto, compagni di banco dai tempi delle superiori, continuano la loro collaborazione artistica decisi a far decollare il loro Drone, sinonimo di evoluzione ed innovazione nel campo della musica.
Oggi, si presentano ai lettori di Honiro Journal.

Siete amici dai banchi di scuola alle superiori e avete detto che il vostro obiettivo è quello di far volare il vostro “Drone” immagino quindi il vostro nome non sia casuale, è nata da subito l’idea di questo nome o lo avete pensato nel tempo?
Ciao, il nome è stato pensato e scelto affinchè rispecchiasse i nostri ideali e la nostra visione musicale. SquadDrone è stato partorito dalla mente di Reietto e subito ci ha entusiasmati. Trasmette l’ideale di un collettivo “massiccio”, una squadra contro cui è difficile spuntarla…ha inoltre la peculiarità si poter essere letto a singole parole tra cui Drone. Il drone per noi rappresenta l’innovazione, un qualcosa alla portata di tutti ma di un potere enorme. Essere alla portata di tutti, è questo il focus. vogliamo che le nostre parole e la nostra musica possano diffondersi tra tutti e volare
in alto nella testa di chi ci ascolta.
Vi muovete principalmente nel genere “Rap – trap” anche se non siete lontanissimi dal genere “indie”; cosa ne pensate del rapporto tra questi due generi cosi in voga al momento ma piuttosto diversi tra loro?
Noi come detto collaboriamo assieme da ormai 10 anni, abbiamo avuto la fortuna di vivere questi anni di costante evoluzione musicale e non vi nascondiamo che siamo davvero soddisfatti del modo in cui la musica e nello specifico il rap, siano cambiati. Finalmente sono crollate le barriere, ora è possibile parlare di musica a 360 gradi. A noi piace fondere tantissimo gli elementi musicali perchè ogni “sottogenere” ha un qualcosa che permette di esprimere al meglio la tua arte. Per noi la musica non ha confini, mixare le liriche più profonde prettamente rap ad un suono più fresco come quello trap e immergerli in un’atmosfera pittoresca in stile indie è quello che ci contraddistingue e che ci fa stare bene.
Lo scorso 05 Luglio è uscito il vostro primo singolo “King Size”: raccontatecelo
King size è un singolo a doppia traccia, uscito con l’etichetta di Milano Top Records, che contiene l’omonima King Size e Drone. Entrambi i brani mettono in risalto i problemi che un ragazzo normale, come noi o come voi, può incontrare nella vita perseguendo i suoi sogni. I brani parlano, con toni diversi, degli sbatti che abbiamo affrontato e che stiamo affrontando per coniugare la passione musicale ad un mondo sempre più asettico di emozioni. I mille lavori fatti per pochi euro all’ora messi da parte solo per poter registrare i brani, come ad esempio svegliarsi alle 3 del mattino per tutta l’estate per andare in campagna. King size è un brano che piace definire “fake easy”, al primo ascolto molto fresh e leggero ma che è intriso di significato. King size è una condizione mentale, essere King size nelle motivazioni, King size negli obiettivi, è il puntare ad un qualcosa di sempre più massiccio senza mai fermarsi o arrendersi. Drone è un brano molto più introspettivo, ricco di emotività e davvero molto profondo che ti trasporta nella nostra quotidianità.
Il brano è stato registrato in uno studio di un certo calibro (THAURUS STUDIO di Milano) gestito da Dj Shablo (dove registrano nomi del calibro di Guè Pequeno, Sfera Ebbasta, Rkomi, Ernia, ecc.). Immagino sia stata una bella soddisfazione…
Il Thaurus Studio per noi ha rappresentato il primo passo nel cammino verso il nostro sogno. Uscire dalla nostra “provincialità” musicale per interfacciarci in un ambiente musicale molto più competitivo e professionale. Appena entri al Thaurus ti si para davanti una parete costellata di Dischi D’oro e Platino e li capisci che quello che fai non è solo un hobby, ma un lavoro, ed è tangibile. Essere al Thaurus, oltre che per la qualità e la professionalità davvero disarmati, ci è servito per prendere coscienza del nostro valore, dei nostri mezzi e della nostra arte. E non è l’unico studio di valore ad aver partecipato alla creazione del singolo! Abbiamo avuto l’onore di collaborare con il No Face Studio a Roma. Ci sentiamo di ringraziare anche loro per l’ambiente e la professionalità, che ha reso possibile la creazione del giusto suono per la title track d’esordio.
A distanza un mese dall’uscita del singolo è uscito anche il video, vi siete trovati subito d’accordo sulla scelta della “Festa in piscina”, location ecc o è complicato accordarsi sulle scelte essendo in due?
Siamo quasi sempre sulla stessa lunghezza d’onda. Riusciamo a comprenderci e a completarci senza che nessuno schiacci e reprima le idee dell’altro. Stiamo spesso assieme, usciamo assieme e questo fa si che ci sia sintonia. Le migliori idee nel nostro percorso ci sono venute magari proprio durante una semplice uscita serale sparando cazzate che poi hanno davvero avuto un senso. Così è stato per il video di king size, un assieme di idee sparate li che poi hanno preso forma e che poi abbiamo studiato con il nostro produttore artistico ed esecutivo Claudio Chiarantoni, che è la nostra guida. E poi diciamoci la verità…chi mai
rifiuterebbe un party in piscina???
Siamo alla fine di questa chiacchierata, lasciateci uno spoiler sui vostri progetti futuri!
Siamo al lavoro su tanti nuovi brani e stiamo facendo quello che più ci piace: SPERIMENTARE. Stiamo mettendo noi stessi in musica e rime e il nostro obiettivo è quello di sfornare un EP nei prossimi mesi che possa volare alto, appunto come un DRONEEEE!
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FUTURO, i consigli della settimana di Honiro – week #19 – #20
Recuperiamo la scorsa settimana di FUTURO in aggiunta alle uscite di quella attuale per immergerci in un unico flusso musicale e introspettivo dentro il quale poter ritrovarsi e non perdersi.
15 MINUTI – 5070
Trasversale, poliedrico, senza confini sonori: 5070 riesce ad entrare nei nostri ‘’15 minuti’’ esistenziali, dandogli un occhio poetico, di sincera comprensione. In una realtà instransigente, bisogna imparare a donarsi riguardo, prima di compiere un passo che può far andare avanti, come indietro.
PITA GYROS – EMILI KASA
Ricordi vividi che non hanno bisogno di essere mistificati, ma di essere raccontati per quello che sono, nel bene o nel male, dall’inizio alla fine (due momenti che hanno lo stesso sapore). Una voce graffiante e indelebile che permea il cuore di ascolta, non destabilizzando, ma confortando, provando a salvarlo.
NON FA MALE – FUCK POP
Senza indugi, senza mezzi termini e con un linguaggio inconfondibile, come loro sanno fare: il collettivo più alternativo d’Italia torna non per ribaltare gli schemi, ma per definirne di nuovi. Anche ciò che crolla addosso, alla fine, non crolla del tutto; e ciò che non crolla del tutto, ‘’non fa male’’. Si può sempre ricominciare.
ROMANTICA – EVA BLOO
Delicatezza minimalista che si avvicina ad atmosfere poetiche e consapevoli, alla ricerca di una serenità tanto agognata e che appare sempre più impercettibile, poco tangibile. Ma è proprio dentro il frastuono della ‘’pausa’’ dal mondo esterno che si ritrova il punto di partenza, un nuovo mondo interno.
UMANA – BRUCHERO’ NEI PASCOLI
Tra distopia e utopia, tra bisogno di fuggire e bisogno di rimanere: una sperimentazione sonora e concettuale che riporta il senso dell’umano alla sua essenza più urgente, più vera. I contrasti pendono un colore differente, un sapore più rivoluzionario e illuminante.
WENDY – HENNA
Un canto di libertà, sincera espansione ed espressione di se stessi, dove recuperarsi, dove stabilire la propria casa. Con lo scorrere inesorabile delle esperienze e della memoria, l’unico modo per sentirsi vivi, veri, è quello di legarsi profondamente con gli attimi che riempiono la nostra vita in toto.
ABRACADRABA – LUPOFIUMELEGGENDA
Una formula magica che infrange nella frenesia della quotidianità e la sua apparenza, le sue contraddizioni, ma anche i suoi stimoli, in un modo o nell’altro. Sì, il mondo, per quanto sia distruttivo a volte, ci offre la possibilità di poter scegliere chi e cosa può salvarci.
NON SEI TE – TAMI’, UALE
A volte gli occhi degli altri su di noi, sui nostri gesti, le nostre vite, sanno essere pesanti, difficili da sopportare. Tuttavia, esiste un confine sottile tra l’affetto e l’accondiscendenza; e chi ci sta veramente accanto non vuole che perdiamo la bussola, bensì sprona a seguirne la direzione.
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”Morningstar”, il disco che segna la rinascita di Alex Cortez
”Morningstar” è molto più di un titolo: è una dichiarazione d’intenti, un simbolo di accettazione, crescita e consapevolezza. Dopo anni di silenzio discografico, Alex Cortez torna con un progetto che parla la lingua della verità — quella che nasce dall’esperienza, dai fallimenti, dalle contraddizioni e dalle rinascite personali. Il rapper trevigiano sceglie di non semplificare, ma di scavare a fondo, costruendo un percorso che si ascolta come un racconto e si vive come una riflessione.
Con la produzione curata da James Cella e featuring mirati che arricchiscono la narrazione, Morningstar diventa un viaggio sonoro nel quale il boom bap incontra la scrittura adulta, intima e lucida. Cortez non insegue i trend né le playlist, ma la propria verità — quella di un artista che accetta le ombre, dialoga con i demoni interiori e li trasforma in musica.
Abbiamo parlato con lui del significato del titolo, del rapporto con il pubblico e della necessità di tornare a scrivere dopo anni. Quello che emerge è un artista più maturo, libero e coerente, che con Morningstar ci ricorda che ogni fine può essere solo l’inizio di una nuova fase.
Perché hai scelto di intitolare il disco Morningstar e non con un titolo più “diretto”?
Mi piace pensare che l’arte, quindi anche la scrittura, crei un percorso che non sia per forza troppo chiaro, diretto come dici. Mi piace che nel lavoro di un artista ci sia sempre uno spazio ampio da interpretare anche secondo i canoni di chi guarda o in questo caso ascolta. Il Titolo racconta una storia, un concetto. Morningstar è un riferimento e parola dopo parola nel disco sta all’ascoltatore creare i suoi frames, i suoi collegamenti, cercare anche di capire davvero chi è la persona che ha realizzato il pezzo o il disco nella sua interezza.
Quanto ha contato James Cella nel dare forma definitiva al suono del progetto?
Da uno a 100? 1000! Ci conosciamo da un sacco di tempo e non abbiamo mai lavorato insieme. Credo, almeno da parte mia, si sia innescato un meccanismo virtuoso da subito. Lui mi mandava i beat (tutti fighissimi) e io non potevo far altro che scrivere o pensare ad adattare ciò che avevo scritto ai suoi tappeti. In aggiunta a questo, alla parte di produzioni che è fondamentale, anche in studio lui è davvero capace, un fenomeno. Il mixaggio dei pezzi mi ha colpito. Quando ho sentito il disco intero mixato gli ho detto “ma sono io? Cos’è questa figata?”. Lui è super umile ma per me è uno dei produttori più bravi in Italia.
C’è un filo conduttore tra i tuoi vecchi lavori e questo nuovo capitolo?
No nessuno. L’unico riferimento è il remix, anzi… il rework di “Da dove vengo” (beat by ConcreteBeatz e scratch di Dj Tech). Ho voluto lasciare solo quello perchè in realtà era un pezzo che in Pulp Fiction (2006) era rimasto molto in secondo piano ma mi è sempre piaciuto molto. Lo stesso Iso Concretebeats che aveva curato la produzione di allora ha creato il beat per il remix e mi è piaciuto molto quindi l’abbiamo inserito. Ovviamente è fuori dal percorso di Morningstar ma è una citazione del passato che mi rende molto felice e soddisfatto.
Come vivi oggi il rapporto con il pubblico dopo tanti anni di distanza?
Sono molto più disinteressato. Non in senso negativo però. Ora che penso di essere abbastanza cresciuto non faccio più le cose per appagare gli altri ma per sentirmi bene. Quindi accolgo le critiche e ne faccio tesoro, come ho sempre fatto, ma non mi sconvolgono mai. I complimenti, quando ci sono, li prendo e m’imbarazzo perché sono fatto così. Nessuno dei due cambia il mio percorso o le mie idee, continuo a fare o dire quello che mi fa o che mi fa star bene.
C’è una poesia di Rudyard Kipling che ho tatuato su una gamba. Si chiama “If” (Se). C’è un verso che sento molto mio: “Se riuscirai a confrontarti con Trionfo e Rovina E trattare allo stesso modo questi due impostori”. Ecco, credo dica tutto… Due impostori, sia il trionfo che la rovina, ma aggiungo io anche le critiche e i complimenti.
“Non un finale” chiude il disco ma sembra aprire a una nuova fase. È un indizio sul tuo futuro artistico?
In realtà parla di tutt’altro ma il fatto che il titolo era questo ho pensato fosse divertente metterlo in fondo proprio per darmi eventualmente una nuova chance. Ogni volta che faccio un disco penso sia l’ultimo, questo poi dopo mille anni non credevo nemmeno di essere in grado di portarlo a termine come progetto e invece? Eccomi qua. Quindi: no, non un finale. Non dico nulla, non voglio crearvi ma soprattutto crearmi aspettative. Intanto continuo a scrivere, non si sa mai!
In un’epoca di release veloci e hit da playlist, come pensi che verrà accolto un album così personale?
Devo essere sincero, penso non benissimo. Ma è un disco personale e anche venisse accolto male è necessario accettare il responso, per me è stato un bisogno ed una necessità farlo e spero che qualcuno lo colga e si appropri di questo suo potere purificante e catartico che ha avuto per me. Onestamente non credevo nemmeno che Incompleta, che è uscita come singolo a febbraio, venisse capita e accolta così caldamente visto l’argomento di cui tratta e in quel caso mi sono sorpreso, spero di sorprendermi ancora con Morningstar.
Hai parlato di accettazione, di errori, di rinascita. C’è stato un momento preciso in cui hai capito che eri pronto a tornare?
Si, dopo i mille messaggi e commenti che ho ricevuto in seguito all’uscita di Incompleta di cui ti parlavo sopra. Tutto completamenti inaspettato. Parlo di una dolorosa perdita, di un amico che se n’è andato. Ero sicuro che per quanto tramettesse emozionalità fosse molto legata a me e al mio vissuto per cui non trovasse molti consensi. Del resto, l’ho scritta per me in primis, in modo molto egoistico se vuoi, per omaggiare il mio grande amico scomparso.
Ecco, dopo Incompleta ho capito che c’è un pubblico ampio che è disposto ad ascoltare rap, classico? Boombap? Chiamalo come vuoi! A patto però che racconti storie, emozioni, riflessioni in cui si può rispecchiare. Questa per me è stata la scintilla e mi sono convinto di fare un piccolo ma spero rilevante lavoro in tale senso.
Se questo disco fosse un film, quale sarebbe?
Un film non lo so. I miei precedenti dischi si chiamano “Pulp Fiction” e “Giovani, Carini, Disoccupati” quindi sarei stato molto facilitato in questa domanda. Questo potrei dirti che visto il nome potrebbe rifarsi alla serie “Lucifer”, direi che le contraddizioni del protagonista ben si sposano alla linea del disco. Io però al contrario di lui non vado in giro alla ricerca di assassini o cattivi vari. Custodisco i miei demoni dentro di me e cerco di farli lavorare nella giusta direzione.
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La forza di un legame che finisce e la fragilità di ”quello che non so”, il nuovo singolo di ioemeg
La forza di un legame che finisce e la fragilità di quello che non so, il nuovo singolo di ioemeg, in uscita il 24 ottobre per Honiro Label.
Le parole possono diventare carezze e pugnali, allo stesso tempo, dando ad un rapporto un colore differente, una sfumatura in continuo divenire. L’uno cerca di intuire ciò che si cela nell’altro, anche i minimi gesti che danno un segnale di quello che sta per succedere. Ma, alla fine, rimane solamente l’ansia dell’incertezza, l’angoscia di una fine o di come l’amore può proseguire. Agli occhi della logica ciò che non si conosce fa paura, soprattutto quando si lascia andare un pezzo di noi, ma i sentimenti e le sensazioni direzionano sempre scelte che vale la pena compiere.‘
’quello che non so’’ è una storia che finisce o qualcuno che se ne va, mentre resta un vuoto pieno di presenze: oggetti, gesti, ricordi che continuano a parlare. Chi custodisce le tracce degli altri scopre che ciò che conta non è ciò che resta fuori, ma ciò che vive dentro. Nel brano cerco di dare voce a una generazione fragile, riflessiva e resiliente, capace di trasformare la perdita in consapevolezza e la nostalgia in forza. E forse il mettersi a nudo che tanto spaventa diventa una salvezza’’ – ci racconta l’artista.
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