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Carlo Corallo racconta “UN MEDICO MI HA FATTO AMMALARE”, il singolo con DUTCH NAZARI

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Il rapper e cantautore Carlo Corallo ritorna con il singolo “Un medico mi ha fatto ammalare”, abbracciando la profondità delle emozioni. La collaborazione con Dutch Nazari evidenzia la versatilità artistica di Corallo ed il modo di raccontare storie intense attraverso la musica.

Per l’occasione abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui su musica, progetti e futuro.

Puoi raccontarci come è iniziata la tua avventura nella musica? C’è un momento specifico o una persona che ti ha ispirato a intraprendere questa strada?
Il mio rapporto con la musica è nato quando vivevo ancora in provincia (precisamente a Ragusa) e cercavo un senso a tutto o forse soltanto una linea guida da seguire che si confacesse a ciò che riuscivo a padroneggiare in modo spontaneo: le parole. Una figura che mi ha ispirato è sicuramente mio nonno materno, che si dilettava nella scrittura interpretandola come un hobby e una via di fuga dalle consuetudini della quotidianità. La sua sensibilità verso l’arte è stato un privilegio di cui ho beneficiato, dal momento che in alcuni luoghi della Sicilia intraprendere questo percorso porta inevitabilmente a scontrarsi con le aspettative più “canoniche” della gente che ti circonda.

“Un medico mi ha fatto ammalare” affronta temi profondi legati alle relazioni. Cosa ti ha ispirato a scrivere questo brano e come hai lavorato sulla sua creazione?
Sono stato ispirato da una situazione realmente vissuta e dall’atteggiamento che buona parte dei lavoratori che godono di un certo “status” ha verso le altre persone. Per quanto la canzone parli effettivamente di una ragazza che fa il medico, questo ruolo rappresenta anche uno stratagemma narrativo per incarnare tutti coloro i quali si identificano con la propria professione, spesso sbagliando e fornendo una versione idealizzabile di se stessi. Quindi, parlando di lei parlo anche di me.

La collaborazione con Dutch Nazari è molto interessante, avevate già in mente di collaborare in passato? Com’è stato lavorare con lui?
In passato gli avevo proposto di scrivere e cantare il ritornello del brano “Natura Umana” contenuto in “Quando le canzoni finiscono”, ma era impegnato e avrebbe voluto cimentarsi anche in una strofa rappata. Così, dallo scorso settembre abbiano iniziato a vederci e a parlare di musica frequentemente, diventando amici e poi passando al lavoro in studio. Lavorare con lui è stato facile ed è avvenuto naturalmente: abbiamo riferimenti comuni e un percorso che oltrepassa le mura della provincia, espandendosi fino alle orecchie di tutti coloro i quali hanno la sensibilità di ascoltare musica basata sul contenuto e su un testo spesso articolato.

Maurizio Cattelan ha creato un’opera basata su un tuo saggio per il “Manifesto del Cambiamento”, anche questa una bella soddisfazione. Parlacene meglio!
L’ opera di Cattelan ha dato una nuova vita al mio saggio, orginariamente scritto per il manifesto edito da Treccani. Trovo il ghosting sia un problema di comunicazione in totale crescita nella GenZ e totalmente sottovalutato anche dalle altre persone, causando, così, importanti problematiche nel mondo relazionale e lavorativo, dove scomparire all’improvviso, a seguito di una corrispondenza continuativa, comporta un forte senso di inadeguatezza e umiliazione (più in ambito relazionale). L’artista padovano ha deciso di rappresentarlo con una scritta in rilievo che riporta immediatamente alla mente l'”effetto fantasma”, metafora di chi scompare senza scrupoli.

Nel brano, parli dell’amore a tratti come un controsenso. Come gestisci la tua relazione con la musica e con la scrittura dei testi, considerando la profondità dei temi che affronti nelle tue canzoni?
Come detto altre volte, l’amore è per me un controsenso perchè so descriverlo in ogni dettaglio, ma non so gestirlo all’interno della mia vita. La scrittura, come l’amore, mi fa stare bene e male allo stesso tempo: bene quando dopo ore di riflessione affiora alla mente un’idea utilizzabile in una canzone, che rappresenta pienamente ciò che voglio dire e da valore al mio lavoro; male perchè la penna decide autonomamente quando scrivere e spesso ciò corrisponde al momento in cui tutto diventa più buio. Sto iniziando a razionalizzare il fatto per cui, nel mio caso, scrivere equivalga a soffrire.

Come hai evoluto il tuo stile musicale e cosa possiamo aspettarci dal tuo futuro lavoro? 
Il mio stile si è evoluto avvicinandosi sempre più alla formula canonica della canzone italiana. All’inizio scrivevo brani di 5 minuti senza ritornelli, con schemi metrici complessi. Oggi ho scoperto i vantaggi del “less is more”, dando ancora più luce alle figure retoriche e alle immagini contenute nei versi, oggi spogliati da tutte le sovrastrutture in eccesso. In futuro ci sarà una maggiore attenzione ai momenti melodici in alcuni pezzi, in modo di giustificare la follia sperimentale che, invece, accompagnerà altri. Credo che un buon album debba fornire porte d’accesso, prima di potersi ramificare nei suoi lati più complessi. Non esistono labirinti senza entrata.

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FUTURO, i consigli della settimana di Honiro – week #25

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Un tuffo nel passato che sa di FUTURO, tra visione ed eloquenza. Protagonista della cover digitale Lumiero.

IL PRIMO GRANDE DISCO DI LUMIERO – LUMIERO

Un tuffo nel passato che sa di futuro, tra visione ed eloquenza, tra musicalità e parole incise nel cuore di chi ascolta. Uno dei progetti più rivoluzionari completa una raccolta di immagini che richiamano un mondo che non c’è più, ma di cui vorremmo ancora la sua linfa; il tutto condito dalle sfumature più sincere.

ASTRONAVE – OTTOBRE

Una diatriba con se stessi, ma anche con l’altro, tra sentimenti che spengono e sentimenti che riportano, in un modo o nell’altro, al calore che tanto si brama e che non sempre si riesce ad afferrare, tenere con sé. Sonorità dinamiche e d’impatto fanno da sfondo al vortice motivo dove l’unica arma è surfare.

FACCIAMO A META’ – EUGENIO IN VIA DI GIOIA

Ci sono cose che non si possono comprendere per intero. A volte bisogna proprio vederle ‘’a metà’’. Allo stesso modo, ciò che compone la nostra serenità non lo si vive nella sua interezza, ma un pezzo alla volta, nella sua semplice scansione quotidiana. Un inno a guardare con spontaneità ciò che ci circonda.

MI MANIFESTO – PAN DAN

Un mondo a cui si accede non con formalità o giri di parole, ma facendosi trasportare dalle vibrazioni di un’anima creativa, spontanea, che sperimenta ogni sfaccettatura della vita. Suoni eterei e parole come ‘’vox clamantis in deserto’’ presentano l’interezza dei luoghi interiori più reconditi.

7 MINUTI – KUZU, MONTAG, WISM (MENZIONE SPECIALE)

Sperimentazione e poesia si fondono per un flusso di coscienza fatto di immagini lucide, nitide, che illuminano quei tratti d’umanità di cui siamo fatti e che il sistema cerca di nasconderci. ‘’7 minuti’’ che diventano una colonna sonora di una vita intera, senza ripetizioni, senza ripensamenti.

NESSUNA – ALTEA

Uno dei progetti più freschi del panorama attuale ritorna con un manifesto intimo, profondo, speciale, dove raccontarsi e raccontare il ramificarsi della propria storia. Musica d’oltreoceano e poesie ‘’a cielo aperto’’ sono gli elementi di una realtà vista con occhi sensibili e maturi, senza veli e con una poetica umana.

VOCE – MADA

Quando si esprime con la propria ‘’voce’’ ciò che si cela nella nostra storia e nel nostro essere, non solo c’è una riscoperta, ma anche un unico flusso sonoro: la propria verità. Per quanto il mondo sovrasta la voce, c’è qualcosa di più nel volume della nostra vita. Imparare ad equilibrarlo rende tutto più semplice.

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In un mondo che ha perso la sua bussola basterebbero un po’ di ”canditi”, il nuovo singolo di Parrelle in uscita il 5 dicembre

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In un mondo che ha perso la sua bussola basterebbero un po’ di canditi, il nuovo singolo di Parrelle in uscita il 5 dicembre per Luppolo Dischi e Honiro Label.

Tutto scorre ad una velocità sempre più incalzante e perdersi nel frastuono è un attimo; perdere il senso di umanità, in una realtà che è svuotata di tutto ciò che è umano. Tuttavia, tra le false righe di un tempo incerto, ci rimane un’unica scelta possibile: provare a stupirci di nuovo, far ritornare la semplicità delle parole e delle azioni una sana abitudine. L’amore è amore, un abbraccio è un abbraccio, e il resto è solo un insieme di dettagli.

“L’amore è in via d’estinzione, un po’ come quei dinosauri che studiavamo a scuola e che un po’ mettevano paura. Sarebbe bello, però, non aver paura di resistere e custodire ancora la pazienza dei piccoli gesti, delle piccole cose: togliere ad uno ad uno dei ‘canditi’ da un panettone, pur di rendere felice chi si ama. Ecco, questo è il senso più intimo e dolce della canzone: per quanto il mondo giri nello stesso verso, e non possiamo cambiarlo, ad ogni modo, direzioniamo la nostra serenità’’ – ci racconta l’artista.

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Banshee: il primo disco insieme di Giovane Feddini e Flesha

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Con BANSHEE, Giovane Feddini e Flesha firmano il loro primo disco insieme, un progetto che nasce dall’urgenza di trasformare un periodo difficile in un linguaggio nuovo. Il titolo richiama la figura della Banshee, creatura mitologica che annuncia un cambiamento drastico con il suo grido: perfetta metafora per un disco che vibra di transizione, rottura e rinascita.


BANSHEE è il secondo capitolo della trilogia iniziata da Feddini con SIRENE, ma qui accade qualcosa di fondamentale: per la prima volta, al suo immaginario si intreccia quello di Flesha.
Se SIRENE era uno spazio personale, più luminoso e disteso, costruito su un’estetica intima e solitaria, BANSHEE ne rappresenta la controparte scura. L’ingresso di Flesha cambia la prospettiva, porta un altro respiro, un’altra energia, una densità diversa. Il risultato è un disco che non somma due mondi: li fa collidere, e da quella collisione nasce una terza identità.
Anche la copertina segue questo cambio di paradigma: una figura femminile che emerge dal bosco, sospesa tra visione e realtà, un’immagine che introduce immediatamente un tono più istintivo, inquieto, corporeo. È il primo passo dentro un territorio più notturno rispetto al capitolo precedente.
Il cuore di BANSHEE è la sua sincerità. Sette brani in cui i due rapper affrontano famiglia, rapporti che vacillano, difficoltà nel trovare una propria posizione nel mondo, e quell’autocelebrazione che non è vanità ma necessità: un promemoria di valore personale nei momenti in cui tutto sembra sgonfiarsi. È un disco che non vuole mostrarsi forte: vuole mostrarsi vero.
Sul piano sonoro, il progetto guarda con precisione alla New York dei primi 2000: trombe sporche, beat ruvidi, quell’atmosfera a metà tra marciapiede e soul che ha definito un’epoca. Tutto il disco è prodotto da Flesha, con arrangiamenti di Dok The Beatmaker, in un equilibrio perfettamente calibrato fra nostalgia e identità contemporanea.

BANSHEE : suoni ruvidi, parole vere, nessuna maschera
Se SIRENE era un respiro lungo, BANSHEE è quel momento in cui il respiro ti manca ma finalmente capisci perché: stai cambiando pelle. È un disco che nasce nel buio ma non ci rimane nemmeno un secondo di troppo. Feddini e Flesha costruiscono una narrazione che non si accontenta di raccontare una risalita: la pretende, la esige, la impone.
Dentro questo disco convivono due percorsi che arrivano da lontano. Flesha — che ha attraversato più di vent’anni di scena, mutazioni, generazioni, stili — porta qui tutto ciò che ha imparato senza mai diventare nostalgico. È solido, consapevole, senza bisogno di dimostrare niente. Le sue produzioni danno a BANSHEE una struttura che non cede, un peso specifico che senti fin da subito.
Feddini è il contraltare perfetto: impulsivo, diretto, viscerale. Tutta la sua storia — dalle battle alla parentesi in major, dal ritorno all’indipendenza fino all’ingresso nei Graveyard Duppies — arriva qui distillata, affinata, priva di fronzoli. Il suo modo di scrivere è immagini, istinto, immediatezza. Il suo modo di stare nel beat è riconoscibile dal primo secondo.
Il punto d’incontro tra i due non è un compromesso: è un terreno nuovo, che non esisteva prima di questo disco. BANSHEE non chiede il permesso di essere ascoltato. Ti viene addosso, ti scuote, e quando finisce ti accorgi che qualcosa si è spostato.

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