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“Sabato 18”, il primo disco di Clied è una vera e propria rinascita

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Un gioco denso tra immagini, metafore e richiami floreali. 9 tracce legate tra loro da un personalissimo dialogo tra l’artista e una figura femminile che racchiude in sè molto più di ciò che possa sembrare.

Esce oggi, venerdì 10 Luglio 2020, per OSA Lab “Sabato 18”, il primo album ufficiale del giovane cantautore Clied.

Sabato 18 è il giorno dopo il venerdì 17, che rappresenta ciò che avviene prima della realizzazione di un sogno. Le tracce sono tutte un dialogo con una figura femminile, che poi altro non è che la vita. La stessa tracklist è una vera e propria frase di senso compiuto, che già racchiude questo dialogo”.

È questo uno dei primi messaggi che l’artista classe ’99 vuole mettere in luce, sottolineando che questo disco “rappresenta un vero e proprio sogno, un emergere dalle proprie paure: è una primavera ed è per questo che ad ogni traccia è associato un fiore”. È un disco denso, pieno di letture. È profondo e riflette l’anima dell’artista che, nonostante la giovanissima età, dimostra spessore musicale e umano non indifferenti. “Sabato 18” abbraccia anche un piccolo sogno di Clied: “Nel disco c’è anche Alice Claire Ranieri, la mia prima insegnante di canto. Averla avuta nel disco è stato assurdo per me”.

L’album, pubblicato da OSA Lab e Artist First è disponibile da oggi su tutte le piattaforme digitali e, non appena possibile, anche dal vivo per una nuova serie di concerti.

Come nasce “Sabato 18”

Scritto quasi totalmente in 10 giorni, composto e arrangiato da Clied, Matteo Gullo, Gianmarco Pandolfi (GianPan) e Alex Natalini, “Sabato 18” riflette a pieno la vita di studio.

Lo stesso Clied racconta: “Abbiamo affittato un casale per 10 giorni a Torre Alfina: una location molto spartana, per un album composto praticamente tutto dal vivo. Ci sono brani usciti praticamente di getto, one take, mentre altri che hanno richiesto un lavoro di mesi. È stata un’esperienza magica perché ci siamo conosciuti lo scorso anno: ho contattato questi tre ragazzi per suonare dal vivo ma poi ci siamo trovati talmente bene durante le prove che abbiamo deciso di lavorare insieme al disco”.

Molta cura anche per il sound di tutto l’album, nonostante il lato più curioso sia stata la genesi dei brani: “Nel casale – racconta Clied – avevamo quattro strumenti: batteria acustica, basso, una chitarra elettrica e un piano (che sono gli strumenti che si sentono di più nel disco) e di fatto abbiamo registrato i provini con un microfono d’ambiente al centro della sala, registrando one take nella miglior maniera possibile”.

Una volta ritornati alla ‘normalità’, gli artisti hanno sentito la necessità di confrontarsi con persone fidate e addetti ai lavori. Figura chiave in questo momento è il produttore Niagara, che effettivamente collabora all’arrangiamento definitivo del disco: “Siamo usciti dal casale con la necessità di registrare al meglio questi brani e quindi abbiamo scelto di portarli a diversi addetti ai lavori: grazie anche al loro feedback è proseguito il nostro percorso di crescita. Alla fine ci siamo affidati al Kate Studio e nello specifico a Francesco Procacci e Simone Tempesta. Abbiamo capito che le persone che abbiamo attorno sono una risorsa fondamentale: sono il nostro sguardo esterno. Abbiamo iniziato a lavorare alle tracce sentendo le emozioni e le sensazioni che scaturivano dalle persone più vicine a noi”.

La chicca finale, arriva paradossalmente durante il lockdown: “Durante la pandemia siamo riusciti a seguire la fase di mix e master a distanza: è stato complesso, ma alla fine siamo arrivati a ciò che avevamo in mente. Il disco era finito e lo abbiamo fatto sentire a OSA che ha deciso di sposare il nostro progetto”.

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“Guernica” è un suono che graffia: Pretty Riky e The Musher tra caos, analogico e verità

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In un panorama musicale dove l’estetica spesso prevale sull’urgenza espressiva, Guernica è un disco che va in controtendenza: sporco, viscerale, artigianale. Firmato da Pretty Riky e The Musher, l’album nasce da una ricerca sonora istintiva ma consapevole, dove le macchine analogiche, il sampling e l’imperfezione diventano strumenti narrativi. Nessuna rincorsa al trend, nessuna patina levigata: solo suoni vissuti, tagliati a orecchio e cuciti con mani che sanno da dove vengono.
Abbiamo incontrato i due artisti per parlare di produzione, coerenza creativa, strumenti, influenze e del valore – oggi raro – di costruire un disco che non ha paura di sembrare ruvido. Perché Guernica non cerca scorciatoie: preferisce lasciare cicatrici sonore.

Le produzioni del disco hanno un’identità forte, analogica, quasi ruvida. Che tipo di ricerca sonora c’è stata dietro Guernica?
È stata una ricerca istintiva, ma precisa. Non volevamo un disco “liscio” — volevamo qualcosa di umano, che suonasse vissuto. Come un muro scrostato. Abbiamo lavorato su texture, layering sporchi, atmosfere a volte malinconiche. Cercavamo suoni imperfetti, ma capaci di raccontare. Suoni Hi-Fi che sembrassero low-life. Allo stesso tempo, abbiamo voluto includere anche momenti più energici e sognanti, per restituire quella tensione costante tra caos e bellezza.

The Musher, il tuo stile è molto riconoscibile. Come riesci a rimanere fedele a una visione mentre evolvi?
Per me la coerenza non è staticità. È come camminare su una linea curva: cambia il paesaggio, ma sai sempre da dove vieni. Ho una sensibilità per certi suoni — la polvere, il rumore, il vintage — ma ogni volta provo a sfidarmi. Mi piace prendere un campione, tagliarlo, sporcarlo, ricomporlo. Renderlo mio. È un processo creativo ma anche molto giocoso. Le nuove sonorità mi intrigano, ma cerco sempre di partire da un punto ben definito: le mie radici sono nel jazz, nel soul, nel blues, nella black music. È da lì che esploro il resto.

Pretty Riky, dal 2018 produci anche i tuoi beat. Com’è stato lasciare la produzione completamente a un altro artista per questo disco?
a dire il vero lasciare le produzioni in mano a The Musher è stato stimolante… era un periodo che non scrivevo più rap, non producevo più hip hop ed ero lontano da qualsivoglia concetto di scena… Diciamo che è stato anche grazie a The Musher se sono rientrato nel gioco del rap.

Che ruolo ha avuto la strumentazione analogica (SP-404, Akai, groovebox) nel plasmare l’atmosfera dell’album?
Il Korg Electribe e l’SP mi hanno accompagnato nella quotidianità. Questo disco è nato nei momenti normali: per conciliare il sonno, tra una forchettata di pasta al pesto e l’altra, sul balcone. La base di Più Ecologico, ad esempio, l’ho prodotta su una panchina a Olux, in mezzo alla natura, senza schermi. Quando arriva lo stimolo giusto, e viene dall’esterno, la musica si scrive quasi da sola. Ovviamente poi il lavoro al computer ha il suo peso, ma per chi, come me, ama l’analogico, il campionare da vinile e choppare a orecchio è una parte fondamentale. Trovo che avere tutto a portata di clic possa rendere sterile la fase iniziale della creazione.
Ci sono giganti come J Dilla, Madlib, The Alchemist e 9th Wonder che hanno reso i campionatori veri strumenti musicali. È quella la scuola che sento più mia.

Il disco alterna momenti molto densi ad altri rarefatti. Come avete costruito il ritmo narrativo senza sacrificare la coerenza?
Il disco alterna momenti densi e altri più rarefatti, senza perdere coerenza. Ci sono brani classicamente rap e altri con sonorità più morbide, che ti avvolgono. Parte in modo violento, poi si rilassa, diventa scuro e sperimentale, per poi aprirsi nel finale. È un viaggio emotivo, ma con una direzione ben precisa.

C’è un suono, un dettaglio o una scelta tecnica in particolare che vi ha fatto dire: “questo è Guernica”?
L’atmosfera finale ce l’ha suggerito. Anche la stessa stesura di alcuni brani. È stato un disco che si è evoluto nel tempo. Aggiungendo e togliendo elementi. Rendendo questo disco molto prezioso con ogni traccia che ha una sua storia e nel suo insieme venne fuori Guernica.

Quanto è difficile oggi proporre un sound “sporco” e fuori dai trend senza scendere a compromessi?
Sicuramente non è un disco pensato per l’industria pop. Ma il panorama sta cambiando. La musica alternativa ha sempre più ascoltatori, anche se è ancora spesso costretta a rientrare in standard sonori troppo puliti.
Detto questo, ci sono artisti che hanno sovvertito le regole — penso a Tyler The Creator, Lil Yachty , ma anche ad altri che disco dopo disco stanno riscrivendo il pop da dentro. È ovvio: se vuoi arrivare su certi palchi, qualche compromesso ci vuole. Ma non devi perdere l’anima.

C’è un artista o un disco a cui avete guardato come ispirazione, anche solo emotiva?
Assolutamente. L.A. Salami è stata una delle prime ispirazioni, per quel suo modo di fondere folk e rap in modo sincero. Poi Saba, e produttori come Kenny Segal, Lil Ugly Mane che lavorano con un suono rarefatto, underground, ma pieno di atmosfera.


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Il racconto di una corsa affannosa verso la tanta agognata ”Calma”, il nuovo brano di Alessandro, in uscita il 13 giugno

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Il racconto di una corsa affannosa verso la tanta agognata Calma, il nuovo brano di Alessandro, in uscita il 13 giugno per Honiro Label

Come scriveva il buon Pascal, il divertissement ci distrae dalla fatica di vivere il mondo, dalla noia asfissiante e da quelle domande che sanno inglobare i pensieri in una matrioska infinita e spesso fuorviante. Quindi, da qui nasce il desiderio di rimanere dentro la frenesia, che, allo stesso tempo, logora ogni parte della nostra anima. Tra sonorità pop e folk, l’artista compie un delicato viaggio di crescita in cui non si cerca necessariamente una soluzione del paradosso, ma di trovare nella baraonda uno spiraglio di serenità.‘’Ho scritto ‘’Calma’’ volendo comunicare il mio bisogno di essere sempre attivo, fare qualcosa, tenere la mente e il corpo mai fermi, perché anche un breve momento di nulla porta la mia testa a fare pensieri infiniti in loop, che non finiscono mai. Però, allo stesso tempo, vorrei respirare. Vivo dentro un paradosso dal quale non riesco ad uscire, dove rimango con lo stesso caos da cui vorrei scappare’’ – ci racconta l’artista.

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Sognando ad occhi aperti con tanta voglia di futuro e ”zero ore di sonno”, il primo EP di sedici, in uscita il 13 giugno

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Sognando ad occhi aperti con tanta voglia di futuro e zero ore di sonno, il primo EP di sedici, in uscita il 13 giugno per Honiro Label e Luppolo Dischi.

Un percorso che non è mai a senso unico, tra la vita di tutti i giorni che teletrasporta le nostre emozioni da un estremo all’altro e il desiderio di andare oltre, immedesimarsi in un dopo che ancora non vediamo, ma che ci spinge sempre a migliorarci, a crescere. Con atmosfere teen pop e una penna marcatamente gen z, sedici riesce a mettere a nudo non solo le sfide che si affrontano nel ‘’diventare grandi’’, ma anche quell’energia che riesce a rendere ogni esperienza unica nel suo genere, che dà la forza di conquistare il mondo.

“0 ore di sonno” è il manifesto della mia età, del mio stile di vita, e della mia musica. Giorni che si mescolano alle notti, ore passate a scrivere canzoni, a vivere, a rincorrere emozioni. Alla mia età ci sono giorni in cui non si dorme, e altri in cui si dorme di giorno per recuperare, perché la notte è troppo piena di idee, pensieri, storie da raccontare. Da una parte racconto l’ansia del futuro, dall’altra la voglia di prendersi il mondo. Abbiamo tutto il tempo e il dovere di farlo. – ci racconta l’artista.

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