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Ken Greed e il suono del wormhole: un viaggio tra atmosfere, compromessi e consapevolezza

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Il ritorno di Ken Greed non è solo musicale, è interiore. Con “The Wormhole”, il suo primo EP ufficiale, l’artista pugliese entra in una nuova fase creativa, dove la produzione diventa parte integrante del racconto. Al centro del progetto, c’è un sodalizio artistico con il producer Alessandro Faraci, capace di trasformare ogni traccia in un’esperienza sensoriale, cupa e cinematografica. In questa intervista esclusiva per Honiro, Ken ci racconta cosa c’è dietro quel suono denso e profondo, come è nato il concept del disco e cosa significa, oggi, fare musica senza snaturarsi. Tra studio, strumenti, visione e ribellione, Ken Greed ci apre il suo wormhole personale.

Come hai lavorato con il producer alla creazione di questo suono così atmosferico e cupo?


Abbiamo lavorato con diverse sessioni in cui io arrivavo in studio già con la mia idea, che veniva rispettata e ampliata dalle influenze di Faraci. Non gli ho dato limiti. Sono sempre stato del parere che dall’incontro di due diverse visioni si possa imparare tanto ed infatti, così è stato. All’inizio per me è stato difficile dover accettare di trovare un compromesso sonoro, ma dopo ho accettato il compromesso come opportunità di crescere e di far crescere con me le mie barre. Ogni pezzo è partito da un type beat che è stato smolecolato in studio, fino a ricomporlo in una nuova strumentale che non c’entrava niente con quella originale su cui avevo scritto. E’ stato veramente strano registrare i pezzi. C’era qualcosa di magico in quell’atmosfera totalmente stravolta da Faraci. Lo ringrazierò sempre per avermi portato a una nuova apertura mentale.


Il sound dell’EP è coerente, minimale ma pieno di dettagli. Cosa cercavi e cosa volevi evitare a ogni costo?


Il sound del disco cerca di ricreare un viaggio spaziale. Nel corso della sua creazione ho voluto evitare ad ogni costo di fare un disco di cui in futuro potessi pentirmi. Ho voluto rendere orgoglioso il me del futuro, senza screditare il me del passato. Per me è importante rispettare le mie attitudini. Ci sono dei limiti oltre cui nessuno può andare, certe cose sono strutturali. Però è importante per me sperimentare e cercare di sviluppare nuovi flussi e migliorarli.
Quanto sei coinvolto nei processi di produzione e post-produzione dei tuoi pezzi?
Nella produzione dei miei pezzi sono sempre molto coinvolto, nonostante molti miei limiti tecnici in merito. I miei interventi più che sul mix e master sono incentrati sulla qualità delle voci e su strumenti che vengono aggiunti nella produzione del beat. Oltre a dare pareri e input per la creazione della strumentale, cerco di soffermarmi per quanto possibile sulla convivenza, nel progetto, delle doppie, con le voci principali. Poi, per fortuna, collaborando con un ragazzo fortissimo riusciamo anche ad esser complementari: colmiamo quelle lacune che abbiamo a vicenda.


L’intero EP suona quasi come una colonna sonora. È una scelta voluta o un effetto collaterale della tua scrittura?


Credo che questo divenire quasi una “colonna sonora”, per il mio EP, sia solo conseguenza della società in cui viviamo che fa da film degli orrori delle nostre vite.
Quel che penso è che tutta l’arte sia generalmente figlia del periodo storico in cui l’artista vive. Da ciò ne consegue che è il contesto sociale, economico e storico del momento che viviamo a determinare il fatto che quello che racconto sia la “colonna sonora” delle nostre vite.
L’oscurità che emana questo concept album non può non esser diretta conseguenza di quello che ci circonda. Se pensiamo a progetti di altri artisti mainstream, ci vediamo dentro un grosso disagio sociale e un grande abisso culturale che ci separa da una vita sana. Tutto questo è figlio della nostra epoca. Siamo tutti vittime e colpevoli della nostra condizione e quindi io, come tutti gli altri, non possiamo non esser specchio della nostra medesima società.

Che strumenti o plug-in sono stati centrali nella creazione dell’universo sonoro di The Wormhole?


Per la mia creazione sonora del disco, nonostante non ci siano stati chiari riferimenti, sicuramente si può avvertire una corrente cyberpunk da cui ho preso spunto. In generale, credo che il mio intero immaginario sia molto distopico, introspettivo e surreale. Sommando a queste caratteristiche il nostro specifico contesto mondiale, ne esce quello che ascoltate nel disco. Più che avere degli strumenti di riferimento, sono stati gli argomenti trattati e il modo in cui gli ho trattati a fare da stella natale ai suoni del disco.
Costruire il suono sulla base di un’idea può darti molte libertà d’azione. Il disco suona a tratti cupo e distopico, a tratti psichedelico e distorto, ma suona anche molto italiano nel brano “The Wormhole”. La scelta degli strumenti, ad eccezione della tromba, è avvenuta molto naturalmente dopo aver scritto il testo. La tromba stessa è stata inserita come suono ricorrente nei pezzi del disco dopo che Faraci ha letto ed ascoltato i testi che gli avevo proposto. La magia di questo progetto forse è stata proprio quella di suonarsi da solo, una volta che l’avevo in forma scritta.

C’è un artista – italiano o internazionale – che consideri un riferimento dal punto di vista produttivo?


Sul piano musicale, sarà sempre mio padre artistico Primo Brown. Ho iniziato ad ascoltare il rap grazie a Fibra e mi sono appassionato poi a un certo tipo di rap grazie ad artisti come Rancore e Kaos. Ma, l’artista che sento di dover citare è assolutamente Primo. Sono sicuro che anche oggi avrebbe avuto tanto da dire, senza mai cadere nella banalità. I Cor Veleno, in generale, sono stati e sono tutt’ora dei grandissimi artisti, ma David era qualcosa di unico. Mi porterò sempre dentro il rimpianto di non esser mai riuscito a vedere un suo live dal vivo.

Registrare da Homesick Studio che tipo di atmosfera ha creato? Credi che il luogo influenzi il suono?


Lavorare con Homesick Studio è qualcosa al confine tra fantascienza e realtà. Lo studio si presenta allestito a vero tempio spirituale, questo ovviamente ti porta a profonde riflessioni personali. Poi ti permette di restare a tuo agio sempre. Lo studio, pur lavorando molto, non rimane trappola della caoticità degli eventi. Ti riesce a trasmettere comunque calma e ti permette di produrre dei lavori più o meno precisi a seconda delle tue esigenze e disponibilità. Alessandro Faraci, proprietario dello studio, è una persona veramente in gamba che, nonostante già la grande esperienza, essendo ancora molto giovane può dare tanto in termini di produzioni e di cura del suono.

Hai lavorato su video teaser e immagini ufficiali. Quanto conta oggi per te l’immaginario visivo rispetto al suono?


Purtroppo, ad oggi, forse l’immagine ha sostituito l’importanza della parola. Per certi versi non è un male, anche i videomaker sono artisti, ma forse nella musica si è data troppa precedenza all’apparenza e ci si è dimenticati della sostanza. Io sono dell’idea che il video debba essere un’estensione del brano e che non debba in alcun modo danneggiarlo o superarlo. Il video deve avere un contenuto che amplifica quel mondo, ma senza dover andare a tappezzare le mancanze e lacune del brano. Oggi si vedono videoclip tutti uguali, per canzoni tutte uguali, con beat tutti uguali e con flussi e rime tutte uguali. Creare certe situazioni non fa bene alla crescita generale del rap.


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FUTURO, i consigli della settimana di Honiro – week #8

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L’ottava settimana di uscite si pone una domanda di partenza: fino a dove il FUTURO è una meta, il passato uno strumento e il presente un foglio bianco? Una realtà respingente e un mondo dentro di noi non sempre di facile comprensione diventano la chiave di lettura su cui decidere come prendere in mano i nostri bisogni, la nostra essenza. E scegliere, ad ogni modo, comporta esclusione ed inclusione di fattori diversi. Tuttavia, non è necessario dirigere la propria traiettoria con definizione, bensì, bisogna essere propensi a viverla, comunque vada. Protagonista della cover digitale la sperimentazione di alert.

TEMPO FUTURO – ALERT

Una sperimentazione con un linguaggio solenne, che guarda al dopo senza il rancore del prima e senza paura dell’oggi. Puro flusso di coscienza che tocca un ‘’tempo futuro’’ non necessariamente utopico, tra sapore di libertà e un’essenza che, traccia dopo traccia, costruisce un racconto introspettivo e consapevole.

L’UOMO DEI CERCHI AZZURRI – ALICE CARONNA

Un finale di rapporto che non lascia quel classico sapore amaro, ma un delicato senso di speranza tra la concretezza di ciò che è stato e il bisogno di preservare l’iperuranio di emozioni e sentimenti vissuti che, ad ogni modo, mantengono in vita ogni oncia della nostra anima.

CON TE NON CI TORNO PIU’ – ALBE

Un atto di responsabilità emotiva che non porta con sé le fratture del passato, ma, meglio ancora, gli elementi che ci rendono ciò che siamo quotidanamento, che lo confermano. Tra sonorità pop che sanno di nostalgia e un gusto d’oltreoceano, ‘’con te non ci torno più’’, ma ‘’con noi stessi’’ sì, sempre.

MAI PIU’- ASTERIA, LONGO

Elettronica ed energia che comunicano in simbiosi, tra cerchi che si chiudono e infiniti spazi che si aprono davanti ai nostri occhi, liberandosi delle scorie di rapporti ed esperienze che hanno saputo a loro modo forgiarci. D’altronde, la rivoluzione più significativa è quella interiore che compone il puzzle finale.

L’ANGURIA – IL MAGO DEL GELATO

Vibrazioni estive e medio orientali fresche, travolgenti, pronte a muoverci in danze frenetiche, liberatorie, che regalano all’estate la giusta leggerezza, tra quelle famose promesse e nostalgie di una stagione che inizia e finisce con una velocità sempre più impressionante.

FORSE È L’AMORE CHE MANCA – BHADMARI

Tra la sensazione di solitudine e la convivenza con i propri constrasti, vibrazioni elettroniche e trascendentali che diventano una danza emotiva sopra un mondo freddo, che gira su stesso in maniera meccanica. E ‘’forse è l’amore che manca’’, quello che rende ogni essere umano unico e irripetibile.

I NOSTRI GUAI – PETER BLAME

Un senso di freschezza in un amore che appare come l’estate: leggero, spensierato, incontrollato, al punto da esssere sopraffatto dal dinamismo degli opposti che si incontrano e si lasciano andare, allo stesso tempo. ‘’I nostri guai’’ che si esorcizzano in un gioco di sguardi.

SUDAMERICA – RIZZO

Un racconto poetico e sublime che rimane sospeso tra desiderio e possibilità, astratto e concreto, ai confini di un sentimento puro e vivo, dimenticando i mali o sublimandoli in ciò che di bene rimane dentro di noi. ‘’Sudamerica’’ è il tempo che fugge e luoghi abitati da cuori in diatriba alla ricerca della serenità.

COMPA’ – ALBE.X

Elettronica e ricerca parlano un linguaggio naturale, vivo, senza mezzi termini, che si addentra nella diatriba non per emergere una parte o l’altra, per far vedere la bellezza dei punti di vista che si incontrano e sono pronti a guardarsi negli occhi, ancora una volta.

OFFLINE – TÄRA

Musica d’oltreoceano e sensibilità sono gli elementi fondamentali di un racconto intenso di introspezione, nella guerra continua tra aspirazione e fisiologia del cuore, battiti incompiuti e voglia di superarsi. Ma solo quando sappiamo dar tregua alla paura di essere consapevoli di noi stessi che comincia la pace.

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L’11 luglio arriva “Undercover”, nuovo singolo di Djomi con la partecipazione di CLAVER GOLD

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Se il rap ha dimenticato il suo dovere civile, ci pensano loro a ricordarglielo.

L’11 luglio arriva “Undercover, nuovo singolo di Djomi con la partecipazione di CLAVER GOLD, distribuito da Ada Music Italy e Isola degli Artisti.
Un brano che non chiede il permesso, ma occupa spazio. Politico, poetico, necessario.

Nel cuore del beat firmato da Gian Flores — teso, stratificato, senza fronzoli — “Undercover” è un manifesto mimetico: un testo che agisce “sotto copertura”, tra le pieghe dell’indifferenza quotidiana, per dare voce a chi la voce non ce l’ha.
Ma niente retorica da slogan: questo è rap militante per cervelli pensanti, non fast food da playlist.

DJOMI, classe 2002, viene da Pinarella di Cervia ma sembra uscito da un’officina lirica berlinese: scrive con la fame di chi sa che la parola può salvare, e che a volte deve ferire. Musicista, autore, performer — ha vinto Castrocaro, Area Sanremo, Critical Flow, ha studiato al CET di Mogol e al Berklee College of Music.
Ma soprattutto, ha scelto di non addomesticarsi. E “Undercover” lo dimostra riga dopo riga: “Non mi venire a parlare del vero / se scrivi sotto dettatura”.

Accanto a lui CLAVER GOLD, tra i pochi rapper italiani capaci di fare denuncia senza perdere profondità. In questo brano non fa ospitate, fa presenza scenica. Porta il suo bagaglio: lirismo, lotta, coerenza. E lo trasforma in dinamite.

Il pezzo attraversa immagini forti, riferimenti colti, dolori scomodi: dall’Iran a La Haine, da Robin Hood a Burzum, da Mogol a Abdel.
Perché sì, la musica può ancora dire qualcosa di importante — se a parlare sono voci che bruciano.

Con Undercover, Djomi e Claver Gold cercano coscienze sveglie.
Chi non si sente chiamato in causa, probabilmente fa già parte del problema.

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E, alla fine, viviamo sempre lo stesso uroboro d’amore ”comevolevasidimostrare”, il nuovo singolo di Parrelle in uscita l’11 luglio

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E, alla fine, viviamo sempre lo stesso uroboro d’amore comevolevasidimostrare, il nuovo singolo di Parrelle in uscita l’11 luglio per Luppolo Dischi e Honiro Label.

E, alla fine, viviamo sempre lo stesso uroboro d’amore comevolevasidimostrare, il nuovo singolo di Parrelle in uscita l’11 luglio per Luppolo Dischi e Honiro Label.

Chi dice ‘’si chiude una porta e si apre un portone’’ forse non ha un’idea chiara di chi c’è dall’altra parte, al di là proprio di quella porta, fatta di ricordi, sensazioni ed esperienze vissute che non riusciamo a toglierci di dosso. Giusto o no, sano o non sano, finché le emozioni diventano lo storytelling della nostra persona, rimaniamo fedeli a ciò che siamo senza veli, senza sotterfugi sociali. L’amore, in un certo senso, è l’antidoto dell’apparenza.

“comevolevasidimostrare” è una canzone che racconta l’altalena emotiva di un amore turbolento, tra malinconia, ironia e frasi che sembrano rubate da una chat mai cancellata. Un viaggio notturno tra skyline negli occhi, foto nei bagni e divani che diventano rifugi, dove il dialetto e la poesia urbana si intrecciano con naturalezza. Tra sonorità classiche, delicate e un pop fresco ed estivo, il brano cerca di dare ad un ritmo spensierato una visione nostalgica dell’amore che va, ma non se ne va mai davvero’’ – ci racconta l’artista.

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