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LOLLOFLOW ci racconta il suo nuovo EP “Dejavù”: “Dobbiamo reimparare ad emozionarci”

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E’ disponibile dall’8 marzo su tutti i digital stores “Dejavù”, l’EP d’esordio del producer multiplatino LOLLOFLOW.

All’interno del progetto (che si compone di sette tracce di cui quattro inedite), LOLLOFLOW intreccia tra loro diversi fili emotivi, da quello dell’amore a quello dei sogni, da quello della solitudine a quello della speranza, dando così vita ad un progetto unico nel suo genere e trascinando l’ascoltatore in un vero e proprio viaggio introspettivo alla (ri)scoperta dei propri sentimenti.

Chi meglio di Lolloflow poteva raccontarci questo suo EP? Noi di Honiro Journal lo abbiamo intervistato!

Tra le tante sfumature emotive che compongono questo progetto, in questo EP emerge anche la necessità di raccontare un mondo ormai sempre più veloce, una società che cammina a ritmi sempre più frenetici e sostenuti. Mi piaceva quindi chiederti, in un periodo storico come questo dove ormai si fa molta difficoltà a soffermarsi o addirittura a vivere un determinato istante o una determinata emozione perché si deve fare subito altro, quali aspetti hai voluto immortalare, fotografare, far rimanere all’interno di questo progetto?

Ho voluto porre l’attenzione su come, all’interno di ogni canzone, ci siano dei sentimenti ben delineati. Ho puntato sul far emergere il più possibile le emozioni perché in un mondo dove viviamo continuamente “di corsa” spesso non riusciamo a fermarci ad analizzare gli aspetti forse più importanti della nostra vita, quelle cose di cui non possiamo fare a meno, come un sentimento. Penso che questi, a prescindere dai ritmi frenetici del giorno d’oggi, siano forse l’unico aspetto che rimarrà per sempre. Credo che la necessità di racchiudere proprio questa tematica all’interno della mia musica sia un modo per combattere il mondo estremamente freddo a cui stiamo andando incontro.

La focus track sottolinea un concetto molto bello e importante: sbagliare è umano. In questo mondo che cerca ormai tanto la perfezione, quanto invece è importante vivere in modo libero il fatto di sbagliare?

Credo che l’aspetto negativo degli sbagli sia proprio che non ci sono mai stati insegnati come qualcosa di positivo, non li abbiamo mai guardati da un’altra prospettiva. Nella società odierna manca un’educazione sotto tanti punti di vista, servirebbe più consapevolezza delle proprie emozioni. Sbagliare può essere una cosa estremamente positiva, è un campanello d’allarme, ti fa capire che sei arrivato a compiere quell’errore per un determinato motivo. Esistono tante sfaccettature dello sbaglio, eppure si tende sempre a demonizzarlo invece di accettarlo, comprenderlo, e sfruttare l’insegnamento per migliorarsi.

Tu stesso, sul tuo profilo Instagram, racconti che questo progetto scaturisce soprattutto dalla tua passione nei confronti della musica. Passione è una parola molto importante e con gran significato che però ultimamente si è un po’ persa, soprattutto tra i giovani. Si fanno le cose solo perché si devono fare e come dicevamo prima “scivola” un po’ tutto via. Quanto è importante vivere secondo te la musica, le relazioni, la vita in generale con passione?

È fondamentale. Mi piace dire che le emozioni, in particolare l’amore, smuovano tutto il mondo. Vivere quindi una vita priva di emozioni, con frivolezza, con sufficienza, penso non darà mai la possibilità di apprezzare nel giusto modo qualsiasi cosa, anche le più piccole. Credo anche che spesso si tenda a non affrontare questo discorso o comunque ad arginarlo, e penso anche che questo causerà non pochi problemi: i giovani sono sempre meno empatici, sempre più inclini alla violenza, focalizzati su aspetti superflui della vita, come i soldi. Tutto ciò è semplicemente il prodotto di una società che non premia l’arte, la passione e molte altre cose. Questo EP vuole proprio essere un manifesto a riguardo, un voler far tornare di moda gli aspetti veramente importanti della vita, come riuscire ad emozionarsi.

Restare senza sogni non mi sembra un successo”
I sogni sono forse una delle cose che tiene maggiormente in vita le persone, eppure, purtroppo ultimamente sembra che molti giovani abbiano disimparato a sognare. Che consiglio daresti ai ragazzi per riavvicinarsi ai sogni?

Ciò che dico sempre è che bisogna lavorare molto sulla propria persona, emozionarsi (o comunque imparare ad emozionarsi) non è qualcosa di scontato, si deve cercare di essere una persona migliore, anche nei confronti degli altri. Questi sono discorsi su cui bisognerebbe porre maggiore attenzione, il fatto che i giovani di oggi abbiano disimparato a sognare toglie molto valore alla loro vita che invece, come accennavamo prima, inizia a vertere sempre più su cose asettiche. Questo distruggerà intere generazioni, convincendole che nella vita si debba solo “arrivare”.

Conta i numeri sopra Spotify, però adesso qua intorno chi c’è?”
C’è un aspetto della solitudine che aiuta nel tuo lato creativo?

Come mi piace ripetere, una volta che inizi a rapportarti con la solitudine, poi inevitabilmente non ne fai più a meno. Se sei capace di stare bene con te stesso e di vivere la tua vita sapendoti emozionare anche da solo, allora saprai stare bene anche con gli altri. La solitudine mi ha aiutato davvero tantissimo a livello artistico, soprattutto per quanto riguarda l’approcciarmi nella maniera che io ritenevo opportuna alla mia musica. In studio prende quindi vita un vero e proprio viaggio introspettivo.

Solitamente prima di concludere un’intervista chiedo sempre se c’è qualcosa che non ti ho chiesto (riguardo la tua musica, tu stesso, il tuo progetto artistico…) che però ci terresti a far sapere ai nostri lettori

Il titolo dell’EP, “Dejavù” deriva dalla mia volontà di descrivere in ogni canzone un sentimento ben preciso, la mia speranza è che la gente riveda se stessa, proprio come fosse un Dejavù, all’interno delle canzoni e che possa così rivivere quella sensazione che fa parte del passato della sua vita.

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FUTURO, i consigli della settimana di Honiro – week #19 – #20

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Recuperiamo la scorsa settimana di FUTURO in aggiunta alle uscite di quella attuale per immergerci in un unico flusso musicale e introspettivo dentro il quale poter ritrovarsi e non perdersi.

15 MINUTI – 5070

Trasversale, poliedrico, senza confini sonori: 5070 riesce ad entrare nei nostri ‘’15 minuti’’ esistenziali, dandogli un occhio poetico, di sincera comprensione. In una realtà instransigente, bisogna imparare a donarsi riguardo, prima di compiere un passo che può far andare avanti, come indietro.

PITA GYROS – EMILI KASA

Ricordi vividi che non hanno bisogno di essere mistificati, ma di essere raccontati per quello che sono, nel bene o nel male, dall’inizio alla fine (due momenti che hanno lo stesso sapore). Una voce graffiante e indelebile che permea il cuore di ascolta, non destabilizzando, ma confortando, provando a salvarlo.

NON FA MALE – FUCK POP

Senza indugi, senza mezzi termini e con un linguaggio inconfondibile, come loro sanno fare: il collettivo più alternativo d’Italia torna non per ribaltare gli schemi, ma per definirne di nuovi. Anche ciò che crolla addosso, alla fine, non crolla del tutto; e ciò che non crolla del tutto, ‘’non fa male’’. Si può sempre ricominciare.

ROMANTICA – EVA BLOO

Delicatezza minimalista che si avvicina ad atmosfere poetiche e consapevoli, alla ricerca di una serenità tanto agognata e che appare sempre più impercettibile, poco tangibile. Ma è proprio dentro il frastuono della ‘’pausa’’ dal mondo esterno che si ritrova il punto di partenza, un nuovo mondo interno.

UMANA – BRUCHERO’ NEI PASCOLI

Tra distopia e utopia, tra bisogno di fuggire e bisogno di rimanere: una sperimentazione sonora e concettuale che riporta il senso dell’umano alla sua essenza più urgente, più vera. I contrasti pendono un colore differente, un sapore più rivoluzionario e illuminante.

WENDY – HENNA

Un canto di libertà, sincera espansione ed espressione di se stessi, dove recuperarsi, dove stabilire la propria casa. Con lo scorrere inesorabile delle esperienze e della memoria, l’unico modo per sentirsi vivi, veri, è quello di legarsi profondamente con gli attimi che riempiono la nostra vita in toto.

ABRACADRABA – LUPOFIUMELEGGENDA

Una formula magica che infrange nella frenesia della quotidianità e la sua apparenza, le sue contraddizioni, ma anche i suoi stimoli, in un modo o nell’altro. Sì, il mondo, per quanto sia distruttivo a volte, ci offre la possibilità di poter scegliere chi e cosa può salvarci.

NON SEI TE – TAMI’, UALE

A volte gli occhi degli altri su di noi, sui nostri gesti, le nostre vite, sanno essere pesanti, difficili da sopportare. Tuttavia, esiste un confine sottile tra l’affetto e l’accondiscendenza; e chi ci sta veramente accanto non vuole che perdiamo la bussola, bensì sprona a seguirne la direzione.

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”Morningstar”, il disco che segna la rinascita di Alex Cortez

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”Morningstar” è molto più di un titolo: è una dichiarazione d’intenti, un simbolo di accettazione, crescita e consapevolezza. Dopo anni di silenzio discografico, Alex Cortez torna con un progetto che parla la lingua della verità — quella che nasce dall’esperienza, dai fallimenti, dalle contraddizioni e dalle rinascite personali. Il rapper trevigiano sceglie di non semplificare, ma di scavare a fondo, costruendo un percorso che si ascolta come un racconto e si vive come una riflessione.
Con la produzione curata da James Cella e featuring mirati che arricchiscono la narrazione, Morningstar diventa un viaggio sonoro nel quale il boom bap incontra la scrittura adulta, intima e lucida. Cortez non insegue i trend né le playlist, ma la propria verità — quella di un artista che accetta le ombre, dialoga con i demoni interiori e li trasforma in musica.
Abbiamo parlato con lui del significato del titolo, del rapporto con il pubblico e della necessità di tornare a scrivere dopo anni. Quello che emerge è un artista più maturo, libero e coerente, che con Morningstar ci ricorda che ogni fine può essere solo l’inizio di una nuova fase.

Perché hai scelto di intitolare il disco Morningstar e non con un titolo più “diretto”?
Mi piace pensare che l’arte, quindi anche la scrittura, crei un percorso che non sia per forza troppo chiaro, diretto come dici. Mi piace che nel lavoro di un artista ci sia sempre uno spazio ampio da interpretare anche secondo i canoni di chi guarda o in questo caso ascolta. Il Titolo racconta una storia, un concetto. Morningstar è un riferimento e parola dopo parola nel disco sta all’ascoltatore creare i suoi frames, i suoi collegamenti, cercare anche di capire davvero chi è la persona che ha realizzato il pezzo o il disco nella sua interezza.


Quanto ha contato James Cella nel dare forma definitiva al suono del progetto?
Da uno a 100? 1000! Ci conosciamo da un sacco di tempo e non abbiamo mai lavorato insieme. Credo, almeno da parte mia, si sia innescato un meccanismo virtuoso da subito. Lui mi mandava i beat (tutti fighissimi) e io non potevo far altro che scrivere o pensare ad adattare ciò che avevo scritto ai suoi tappeti. In aggiunta a questo, alla parte di produzioni che è fondamentale, anche in studio lui è davvero capace, un fenomeno. Il mixaggio dei pezzi mi ha colpito. Quando ho sentito il disco intero mixato gli ho detto “ma sono io? Cos’è questa figata?”. Lui è super umile ma per me è uno dei produttori più bravi in Italia.


C’è un filo conduttore tra i tuoi vecchi lavori e questo nuovo capitolo?
No nessuno. L’unico riferimento è il remix, anzi… il rework di “Da dove vengo” (beat by ConcreteBeatz e scratch di Dj Tech). Ho voluto lasciare solo quello perchè in realtà era un pezzo che in Pulp Fiction (2006) era rimasto molto in secondo piano ma mi è sempre piaciuto molto. Lo stesso Iso Concretebeats che aveva curato la produzione di allora ha creato il beat per il remix e mi è piaciuto molto quindi l’abbiamo inserito. Ovviamente è fuori dal percorso di Morningstar ma è una citazione del passato che mi rende molto felice e soddisfatto.


Come vivi oggi il rapporto con il pubblico dopo tanti anni di distanza?
Sono molto più disinteressato. Non in senso negativo però. Ora che penso di essere abbastanza cresciuto non faccio più le cose per appagare gli altri ma per sentirmi bene. Quindi accolgo le critiche e ne faccio tesoro, come ho sempre fatto, ma non mi sconvolgono mai. I complimenti, quando ci sono, li prendo e m’imbarazzo perché sono fatto così. Nessuno dei due cambia il mio percorso o le mie idee, continuo a fare o dire quello che mi fa o che mi fa star bene.
C’è una poesia di Rudyard Kipling che ho tatuato su una gamba. Si chiama “If” (Se). C’è un verso che sento molto mio: “Se riuscirai a confrontarti con Trionfo e Rovina E trattare allo stesso modo questi due impostori”. Ecco, credo dica tutto… Due impostori, sia il trionfo che la rovina, ma aggiungo io anche le critiche e i complimenti.


“Non un finale” chiude il disco ma sembra aprire a una nuova fase. È un indizio sul tuo futuro artistico?
In realtà parla di tutt’altro ma il fatto che il titolo era questo ho pensato fosse divertente metterlo in fondo proprio per darmi eventualmente una nuova chance. Ogni volta che faccio un disco penso sia l’ultimo, questo poi dopo mille anni non credevo nemmeno di essere in grado di portarlo a termine come progetto e invece? Eccomi qua. Quindi: no, non un finale. Non dico nulla, non voglio crearvi ma soprattutto crearmi aspettative. Intanto continuo a scrivere, non si sa mai!


In un’epoca di release veloci e hit da playlist, come pensi che verrà accolto un album così personale?
Devo essere sincero, penso non benissimo. Ma è un disco personale e anche venisse accolto male è necessario accettare il responso, per me è stato un bisogno ed una necessità farlo e spero che qualcuno lo colga e si appropri di questo suo potere purificante e catartico che ha avuto per me. Onestamente non credevo nemmeno che Incompleta, che è uscita come singolo a febbraio, venisse capita e accolta così caldamente visto l’argomento di cui tratta e in quel caso mi sono sorpreso, spero di sorprendermi ancora con Morningstar.

Hai parlato di accettazione, di errori, di rinascita. C’è stato un momento preciso in cui hai capito che eri pronto a tornare?
Si, dopo i mille messaggi e commenti che ho ricevuto in seguito all’uscita di Incompleta di cui ti parlavo sopra. Tutto completamenti inaspettato. Parlo di una dolorosa perdita, di un amico che se n’è andato. Ero sicuro che per quanto tramettesse emozionalità fosse molto legata a me e al mio vissuto per cui non trovasse molti consensi. Del resto, l’ho scritta per me in primis, in modo molto egoistico se vuoi, per omaggiare il mio grande amico scomparso.
Ecco, dopo Incompleta ho capito che c’è un pubblico ampio che è disposto ad ascoltare rap, classico? Boombap? Chiamalo come vuoi! A patto però che racconti storie, emozioni, riflessioni in cui si può rispecchiare. Questa per me è stata la scintilla e mi sono convinto di fare un piccolo ma spero rilevante lavoro in tale senso.


Se questo disco fosse un film, quale sarebbe?
Un film non lo so. I miei precedenti dischi si chiamano “Pulp Fiction” e “Giovani, Carini, Disoccupati” quindi sarei stato molto facilitato in questa domanda. Questo potrei dirti che visto il nome potrebbe rifarsi alla serie “Lucifer”, direi che le contraddizioni del protagonista ben si sposano alla linea del disco. Io però al contrario di lui non vado in giro alla ricerca di assassini o cattivi vari. Custodisco i miei demoni dentro di me e cerco di farli lavorare nella giusta direzione.

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La forza di un legame che finisce e la fragilità di ”quello che non so”, il nuovo singolo di ioemeg

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La forza di un legame che finisce e la fragilità di quello che non so, il nuovo singolo di ioemeg, in uscita il 24 ottobre per Honiro Label.

Le parole possono diventare carezze e pugnali, allo stesso tempo, dando ad un rapporto un colore differente, una sfumatura in continuo divenire. L’uno cerca di intuire ciò che si cela nell’altro, anche i minimi gesti che danno un segnale di quello che sta per succedere. Ma, alla fine, rimane solamente l’ansia dell’incertezza, l’angoscia di una fine o di come l’amore può proseguire. Agli occhi della logica ciò che non si conosce fa paura, soprattutto quando si lascia andare un pezzo di noi, ma i sentimenti e le sensazioni direzionano sempre scelte che vale la pena compiere.

’quello che non so’’ è una storia che finisce o qualcuno che se ne va, mentre resta un vuoto pieno di presenze: oggetti, gesti, ricordi che continuano a parlare. Chi custodisce le tracce degli altri scopre che ciò che conta non è ciò che resta fuori, ma ciò che vive dentro. Nel brano cerco di dare voce a una generazione fragile, riflessiva e resiliente, capace di trasformare la perdita in consapevolezza e la nostalgia in forza. E forse il mettersi a nudo che tanto spaventa diventa una salvezza’’ – ci racconta l’artista.

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