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NOT GOOD ci racconta il suo nuovo EP “BELLA FESTA BRUTTA GENTE”: “Spero che ascoltando questo progetto ci si senta compresi”

Not Good è tornato venerdì 18 ottobre con il suo nuovo Mixtape “Bella festa Brutta gente”(Epic/Sony Music Italy)
Ascoltando il progetto emerge come il concept del disco si disegni interamente attorno ad una particolare parola chiave: consapevolezza. Una presa di coscienza che però non si priva d’essere camaleontica e poliedrica, esprimendosi al meglio nell’intrecciare diversi fili tematici tra loro, dalla leggerezza alla riflessione, dalla disillusione all’amore, dal timore del futuro all’aver abbracciato il passato, da un viaggio introspettivo al racconto dell’attuale direzione e impronta del mondo che ci circonda.
Premendo play sull’EP l’artista classe ’97 prende letteralmente per mano l’ascoltatore trascinandolo in un progetto con cui sentirsi compresi e soprattutto meno soli forse ripensando, come racconta lo stesso Not Good all’interno di “Lucido”, ad ormai “quanta differenza ci sia tra apparire ed esistere”.
Chi meglio di Not Good poteva raccontarci “Bella Festa Brutta Gente”? Noi di Honiro Journal lo abbiamo intervistato!

Siccome penso che il titolo sia proprio ciò che racchiude l’intero immaginario di un progetto, mi piaceva iniziare questa intervista chiedendoti semplicemente come mai la scelta di “Bella festa Brutta gente”
Il titolo riflette l’idea che avvolge l’intero progetto. Il concept di “Bella festa Brutta gente” vuole essere una metafora di vita e raccontare come venga sempre detto che la festa, quindi simbolicamente il mondo, non era niente di speciale, ma per fortuna lì con noi c’erano i nostri amici ed è stato proprio grazie a loro se abbiamo comunque passato una bella serata, nonostante l’ambiente non fosse dei migliori. È stata presa questa abitudine di scansarsi da ogni tipo di responsabilità, di ritenersi quasi estranei a qualsiasi evento della vita, con un titolo come questo volevo invece sottolineare come, spesso, in realtà siamo noi stessi i primi coautori della buona riuscita (o meno) di qualcosa.
Nella prima traccia dell’ep racconti “E a cosa servirà scrivere canzoni se alla fine è tutto finto”. Forse affermerei che scrivere canzoni serva(e scaturisca) proprio dal fatto che purtroppo ultimamente il mondo abbia spesso intrapreso quella della finzione come strada maestra. Quanto è importante per te invece l’autenticità? Sia nella musica ma anche se vuoi nella vita in generale? E in che aspetto dell’EP credi che questo emerga di più?
Credo che emerga molto dai testi, questo aspetto inoltre è la costante dell’intero disco e in realtà anche il filo conduttore della mia vita. Penso che il fatto che io mi domandi a cosa servirà scrivere canzoni se alla fine la finzione a volte sembra prevalere e soprattutto che io me lo chieda in un brano che poi pubblico sia una presa di coscienza, una dichiarazione ad alta voce di come ci troviamo tutti immersi nella stessa situazione, quindi ancor più dell’autenticità sottolineerei l’essere consapevoli della finzione che spesso ci circonda. Indipendentemente dal voler o no cambiare la narrazione, l’importante è essere consapevoli in primo luogo che questa narrazione esista.

Sempre in “Tutto Finto” dici “Non siamo capaci ma ho una testa per sbagliare assieme a te” e poi, anche all’interno della traccia “Lucido” accenni al fatto che “abbiamo giusto 20 anni”. Ricollegandoci al concetto di prima, in questo mondo che è ormai sempre più alla ricerca della perfezione, quanto credi sia invece importante vivere in modo libero il poter sbagliare? Soprattutto a quest’età, in cui abbiamo giusto 20 anni.
Per me sbagliare è importantissimo a livello umano, penso che l’errore sia il metro di paragone con il quale possiamo misurare effettivamente la ricchezza di una persona. Se una persona è davvero ricca a livello interiore si permette di sbagliare, di avere degli incidenti di percorso perché sa che se anche si rende conto di aver intrapreso una strada che si rivela fallimentare o senza meta potrà reinventarsi infinite volte grazie alla sua passione e alla sua creatività, concedendosi sempre più opportunità diverse tra loro. Anche i rapporti si basano proprio su quanto si riesca a ricostruire la relazione quando uno dei componenti sbaglia, c’è quindi una ricerca dell’interpretazione dell’errore che non mira a demonizzarlo ma anzi, al ripeterci che fortunatamente possiamo sbagliare e che non dobbiamo privarci di questa opportunità.
Sempre in Lucido racconti “So che ti sembrerà stupido, ma stavo bene anche se il male era come portarlo dentro 24h e certe volte ci ho fatto anche l’amore”. Ho interpretato questa frase come la volontà (ovviamente in modo positivo) di abbracciare la sofferenza come una parte di noi. È proprio, paradossalmente, “amando il dolore”, “volendo bene anche al male” che scaturisce la musica? La necessità di esprimersi?
Per rispondere a questa domanda la premessa che mi sento di fare è quella di dire che personalmente credo che le canzoni che lasciano un segno siano quelle che raccontano spaccati di vita, quelle che ti fanno piangere, emozionare, che raccontano anche la tristezza e la malinconia. In una società dove è sempre richiesto mostrarsi al top, mostrarsi al meglio e iper performanti credo sia importante raccontare come molto spesso si riesca ad estrapolare il bene e la felicità anche dalle situazioni difficili e il come, una volta affrontate, spesso poi ci troviamo a ripeterci che, a posteriori, ora non vorremmo essere persone diverse.
“Lo so che sei di fretta e corri, senza sogni” Questa frase con la mente mi ha ricordato la frenesia in cui, soprattutto ultimamente, è immerso il mondo e come molte volte ci ritroviamo quasi a correre senza sosta mentre il tempo scorre, per poi accorgerci come in quei momenti, ormai volatilizzati, non ci siamo dedicati a ciò che amavamo davvero, ai nostri sogni. Volevo quindi chiederti quanto per te sia importante azzerare il brusio, la frenesia del mondo e decidere di concentrarti su ciò che ami?
Il mio sogno è proprio quello di percepire il mondo, in ogni sua sfumatura, quindi paradossalmente io in realtà mi nutro di questo brusio, mi piace dargli una spiegazione o attribuirgli nuove forme, e vedere anche in che modo le altre persone lo interpretino. All’interno della tracklist infatti la posizione di “Senza Sogni” non è di certo casuale, arriva dopo un brano passionale come “Lucido”, un banger come “LEAKS”, proprio perché anche la timeline dei pezzi vuole metaforicamente rappresentare le tipiche fasi di una festa, inizialmente c’è la felicità, l’euforia, poi invece, a tarda serata, subito dopo aver varcato la porta di casa si viene spesso avvolti da mille domande e ci si ritrova a riflettere.

Raccontando i brani dell’EP, sul tuo profilo Instagram, riguardo proprio a “Senza Sogni” affermi “non ho scritto questo pezzo pensando a dove potesse finire, ho solo cercato di dire quello che volevo come lo volevo”. Quando si parla di sogni, di aspettative, di ambizioni, spesso la nostra generazione incontra sentimenti come la rassegnazione o la delusione. Mi piaceva quindi chiederti se e come speri che magari questo brano in particolare possa aiutare chi lo ascolta sotto questo punto di vista.
Con questo brano non ho avuto la pretesa di riavvicinare qualcuno a sognare, credo che questa sia una traccia in cui chi ha una certa sensibilità, una certa fragilità, una certa emotività di sicuro potrà rivedersi e scorgere tasselli anche del proprio vissuto. In un momento nel quale siamo letteralmente sommersi da questa continua gara per dimostrarsi i migliori, credo che non sentirsi soli nell’aver sperimentato sentimenti come la disillusione sia ancor più importante che tornare a sognare. Spero che chi ascolta il progetto possa sentirsi compreso, che, ascoltando un brano, dica “è lo stesso sentimento che avrei raccontato io”.
“E non dovremmo dirlo a nessuno che ci spaventa il futuro”
Prima o poi il futuro diventa presente e magari quando arriva, in realtà, non spaventa più… ti volevo quindi chiedere se ti andasse ti anticiparci liberamente cosa dobbiamo aspettarci dal futuro di Not Good
Avevo veramente bisogno di pubblicare questo progetto, di raccontarmi con queste tracce e di farlo con una chiave stilistica diversa con la quale io potessi trovare un ventaglio di contaminazioni che unissero il rap a nuove sonorità per me. Io spero di continuare sempre a giocare con me stesso, facendo musica sempre migliore, prendendomi liberamente tutto il tempo che mi serve per realizzarla. Posso anticiparvi solo che sto lavorando a tanti nuovi progetti!
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“Funk You”, il nuovo EP di PIETRO FALCO, in uscita il 9 maggio

Ci sono momenti in cui la musica non è più solo intrattenimento, ma una necessità emotiva. È in questo contesto che nasce “Funk You”, il nuovo EP di PIETRO FALCO, in uscita il 9 maggio. Un progetto che prende forma sotto il calore siciliano, in un periodo in cui il mondo sembra andare troppo veloce, mentre la musica diventa l’unico rifugio per fermare il tempo e ritrovare la propria autenticità.
“Funk You” – https://shorturl.at/bdW2K – è la risposta ad un mondo che si muove frenetico. PIETRO FALCO esplora l’urgenza di rimanere fedeli a sé stessi in un’epoca che ci spinge a correre senza fermarci, proponendo un disco che invita a rallentare, a riflettere, a vivere senza fretta. Il titolo, che unisce il funk a un ironico “vaffa”, è un manifesto di ribellione, una proposta di libertà che però non rinuncia mai al ritmo.
Al centro di “Funk You” c’è la mano di PIETRO FALCO: voce, cori, chitarra, basso, batteria e synth sono tutti suonati dall’artista che fonde il cantautorato più profondo ad un groove più energico, portando il corpo a muoversi senza rinunciare alla riflessione. Ogni traccia si costruisce come una pura esperienza, capace di stimolare la mente e al contempo far vibrare l’anima.
A supporto del progetto, troviamo le collaborazioni con artisti del calibro di Martina Aloisio (cori), Daniele Filoso (batteria in “L’effetto che mi fai”), Matteo Morini (batteria in “Il caso”), e i fiati coinvolgenti di Dario Fagiolo e Marcello Sanzó. Ogni singolo contributo aggiunge una nuova dimensione, arricchendo ulteriormente la proposta musicale di “Funk You”.
Mix & master sono affidati a Lorenzo Celata e Alessio Torregiani, che, con precisione e professionalità, conferiscono a ogni traccia il giusto equilibrio tra profondità e leggerezza, creando un suono che non lascia nulla al caso.
“Funk You” rappresenta un vero e proprio manifesto contro l’omologazione, un invito a ritrovare sé stessi in un mondo che sembra non concedere più pause. Un disco pensato per chi cerca una via di fuga, un’uscita dal rumore e dalla frenesia quotidiana, per riconnettersi con la propria essenza.

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La cruda legge della ‘’trappola’’ secondo la Gotti Mafia, il primo producer album di Youngotti, in uscita il 9 maggio

La cruda legge della ‘’trappola’’ secondo la Gotti Mafia, il primo producer album di Youngotti, in uscita il 9 maggio per Honiro Label.
Trap culture, sonorità distintive e la ‘’fame’’ di un mondo musicale che ha qualcosa da raccontare, tra lati di vita estrema e necessità di non perdere la propria attitudine. Questi sono i comandamenti cardini del disco di Youngotti, produttore eclettico e ben navigato in atmosfere dark, cupe, dove non esiste una legge morale, un giusto e sbagliato che governano la realtà, ma la realness della vita di tutti i giorni, nel bene o nel male.
E a dar voce alla narrazione corale troviamo nomi che riescono a ben rappresentare non solo il suo leitmotiv, ma che hanno lasciato e stanno lasciando anche un segno indelebile nell’avvenire dell’urban sempre più rinnovato e complesso.
Tracklist:
1 – Gucci Mane ft. Zep Dembo
2 – Wuh Wuh ft. Raspyy, Flaco G, KFresco
3 – Moltiplicarli ft. Side Baby, Vaz Tè
4 – Attico ft. Disme
5 – Skeleton ft. Rayan, Intifaya
6 – Gorilla ft. Baby Kirua
7 – Total 90 ft. Zep Dembo, Ne*ro
8 – Mafia ft. Raspyy
9 – Oxy ft. Scaccia
10 – Schiacciaratti ft. ODT
11 – Coast To Coast ft. Enzo Benz
12 – Zombie ft. Gizy, BabyRich
13 – Panette ft. Chicoria
Come ci racconta l’artista: ‘’In ”Gotti Mafia” ho cercato di unire identità differenti, figure istituzionali e nuove leve del mondo trap, portando il mio punto di vista sulla scena e creando un vero e proprio incontro generazionale nella musica. Non è stato semplice mettere d’accordo più artisti con stili diversi, ma il risultato finale mi rende orgoglioso e consapevole che il futuro del genere è in mano a persone talentuose che possono portarsi sulle spalle un’urgenza espressiva e un linguaggio in continuo cambiamento’’.
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Cajo, il ritorno. “Redivivo” all’Hiroshima Mon Amour (22 maggio)

Cajo, controverso rapper di Torino della classe ’75, torna dopo quasi 15 anni di assenza presentando il suo nuovo disco, “Redivivo”, sul palco dell’Hiroshima Mon Amour il 22 maggio 2025.
La storia di Cajo è segnata anche dal legame profondo con DJ Fabo, amico fraterno e compagno di visioni musicali con cui condivideva una promessa: non rimandare mai i propri sogni.
In questa intervista, Cajo, ci racconta del suo passato, del suo ritorno e ci spiega qualcosa in più sul disco e sull’evento previsto per il 22 maggio a Torino. I biglietti per l’evento si possono acquistare qui: https://www.mailticket.it/evento/46655/cajo
Cajo. Ti andrebbe di dire brevemente ai nostri lettori chi sei?
Sono Fantozzi e Charlie Brown. Un debole che ha scoperto di avere una gran forza. Un ex timido al quale sono cadute tutte le maschere. Uno sciocco autolesionista che per una volta ha deciso di volersi bene. Quello che sembrava tempo perso, talento sprecato, sconfitta, frustrazione… sono diventati il motore più potente di Redivivo. Se è vero che l’imbarazzo e la fretta sono due tra i nemici maggiori di chi tenti di proporre una qualunque forma di arte… ho dovuto e voluto fare pace con quei due mostri prima di lasciarmi in pace e scoprire io per primo che cosa davvero avevo da dire.
Come mai ad un certo punto hai smesso di fare rap. O meglio: di pubblicarlo?
La mia vita extra musicale mi ha man mano risucchiato, l’amore per gli altri ha anticipato quello per me stesso e mi sono dimenticato di me. Mi sono nascosto così bene che non mi trovavo più. Ma una certa ispirazione non ha mai smesso di venire a trovare lei me e così scrivevo anche sul ponteggio di un cantiere. Di notte con gli occhi su un sequencer e di giorno con le occhiaie. Ho lasciato che la quotidianità mi imponesse la razionalità e quella si è mangiata la magia. Ma poi la magia ha trovato il modo di farsi rivomitare.
Fino ad oggi che sei tornato con Redivivo. Che fra l’altro credo sia il tuo primo disco ufficiale. A cosa è dovuto il tuo ritorno?
Alle mie viscere, è dovuto alle mie viscere. Lo devo a loro e oggi le ringrazio. Ho sempre sentito questa spinta dentro che ripeteva “non ci credere, non ti spegnere”. “Io no” tipo Vasco. Non voglio diventare “un uomo da bruciare” come canta Zero. Non voglio farmi mettere “in fila per tre” come dice Bennato. Avevo promesso a me stesso prima, molto tempo fa, e a Fabiano poi che avrei canalizzato tutta quella enorme energia. Ma ho dovuto ritrovarmi ad un passo dalla fine in un reparto oncologia per accorgermi che non era più tempo di rimandare. “ho pianto fino a morire e sono morto, è morto tutto… tranne il corpo”.
Il 22 maggio presenterai il disco all’Hiroshima Mon Amour. Come si svolgerà la serata? Quali saranno gli artisti presenti e gli ospiti?
Artisti e ospiti sono già presentati nella line up del Live ma non vogliamo svelare tutte le sorprese. Sarà il racconto di una storia carico di autoironia. Di chi prende sul serio quello che fa e meno sul serio sé stesso. Sento l’entusiasmo e la responsabilità di “incarnare” in qualche modo Redivivo. Non è un abito che si indossi: è proprio carne, pelle, sangue, vita. Sono io a farlo esistere a e farlo succedere. E questo mi sorprende. Più avanzo e meno so, meno so e più mi piace. Oggi, mi piace.
Tu come ti senti a riguardo? Che emozioni provi ad andare all’Hiroshima di nuovo?
Mi ripeto, sono entusiasta. Non vedo l’ora. È la chiusura di un grande cerchio. Storicamente ho sempre vissuto emotivamente bene ciò che precede i live e poi i live stessi. I veri problemi li avevo dopo, quando calava l’adrenalina. Questa volta so che mi godrò l’intera esperienza.
Sei stato assente un bel po’. Perdonami il termine. Quali sono i cambiamenti in positivo e in negativo nella scena Hip Hop Italiana rispetto a quando hai iniziato?
Quella che oggi chiamiamo scena ha perso i connotati della comunità. È più l’assieme di tante iniziative individuali. Oggi è più facile fare musica e non ci sono più i taboo di una volta. È bello che ognuno si senta libero di proporre le proprie intuizioni nella maniera più personale e originale possibile. Quello che per me non è cambiato e non cambierà mai è il rispetto: per sé stessi, per gli altri, per il proprio genere musicale e per la musica in generale. “Rispetto” è una delle parole chiave dell’HipHop,
Ultima domanda, questa volta sul disco. Quali sono le tematiche che troviamo al suo interno?
Si tratta davvero un album vario, variopinto e variegato. Nelle scelte musicali quanto nei testi. Si parla di rinascita, di cadere e rialzarsi, di perdere la rotta e ritrovarla. Ma anche di adolescenza, d’amore, di come usiamo il cervello o di come torturiamo l’italiano. Ed è un tripudio di scatole cinesi, dietro ad ogni leggerezza c’è qualcosa di più profondo. Profondo come… la leggerezza.

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