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“Tram” il nuovo singolo di Subaru fuori nei migliori digital store
Subaru fuori con il nuovo singolo “Tram”. Lorenzo Scillitani, è un rapper classe 2000 nato e cresciuto a San Giovanni Rotondo (Foggia). La passione per la musica è nata abbastanza tardi, dopo aver ascoltato un po’ di generi diversi; nel 2016 in Inghilterra scopre il rap e ne rimane folgorato, per una questione di suono in primis, ma soprattutto per l’importanza data alla parola. Ciò che invece nasce prima della passione per la musica è l’interesse per la letteratura e la scrittura, che lo accompagna da quando era bambino.
Per l’occasione dell’uscita di “Tram” abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui!
“Tram” trae ispirazione dall’esperienza della vita cittadina a Torino. Come hai trasformato queste esperienze quotidiane in musica e quali emozioni speravi di catturare nel brano?
Ho cercato di descrivere al meglio l’idea di una città dinamica, varia per culture, obiettivi e idee, dove tutti sono di fretta indipendentemente dagli scopi che seguono. Una città presa da questa “danza” frenetica, in cui è difficile trovare la propria direzione, a differenza dei tram, ma anche una città in cui è possibile perdersi per osservare questo moto, proprio dalla fermata del tram. Era mia intenzione cogliere la piacevole malinconia di una Torino autunnale, la passione elegante di una città storica ma moderna, governata dal movimento.
Il video di “Tram” cattura l’atmosfera malinconica di Torino, mostrando luoghi iconici e il movimento frenetico della città. Come hai collaborato con il regista Cosimo Sterlacci per catturare l’essenza del brano nel video musicale?
Io e Cosimo ci conosciamo già da un po’ e abbiamo già collaborato altre volte, questa volta è stato abbastanza semplice trovare l’idea del video perché eravamo d’accordo già dall’inizio sulle idee da sviluppare e su come svilupparle: volevamo mostrare Torino nel suo lato malinconico ma anche concentrandoci su un forte dinamismo della città. L’unica idea che abbiamo bocciato alla fine era quella di raccontare una giornata intera nel corso del video, alla fine abbiamo scelto di fare tutto di sera.
Hai menzionato che sei cresciuto artisticamente nell’underground hip-hop torinese. Come questa scena musicale ha influenzato il tuo stile e la tua musica?
Detta così è abbastanza altisonante, semplicemente sto crescendo artisticamente stando vicino ad altri giovani che fanno musica. Sicuramente molti di loro mi hanno influenzato, c’è per esempio Ale, un mio amico, che mi ispira molto ogni volta che vado in studio con lui, sia per scrittura che per modo in cui approccia al microfono, molto più di pancia rispetto al mio.
Cosa ti ha colpito di più nel rap e come hai deciso di intraprendere questa strada nella musica?
Sicuramente l’importanza attribuita alla scrittura, sia per contenuti che per forma: è un genere che ha il potenziale per parlare di tutto e farlo sempre con stile, la tecnica è un mezzo fondamentale sia per rendere il contenuto più interessante, sia più godibile.
Ho deciso di fare musica mia perché ho visto un mercato che si adattava bene alle mie capacità e ai miei obiettivi, ho sempre scritto in versi, ora sono diventate barre semplicemente. Per quanto riguarda gli obiettivi vorrei aiutare più persone possibile e credo che la musica sia già di per se un ottimo mezzo, dopodichè potrei ottenere molti più strumenti per aiutare gli altri se arrivasse il cosiddetto successo.
Prima di dedicarti al rap, ti sei dedicato alla poesia. Come l’arte della poesia influenza la tua scrittura musicale e i testi delle tue canzoni?
Cerco sempre di mantenere una matrice di scrittura poetica in qualche modo, che sia nella visione di qualcosa, in un ricorrente utilizzo di figure retoriche o una metrica ben precisa. È stata una transizione difficile quella dalla poesia al rap, soprattutto perché il tempo nella musica detta un bisogno di avere una certa metrica molto meno libera di quella della poesia, e perché ho dovuto imparare come scrivere un ritornello. In generale non mi pesa fondere le due cose, tendenzialmente prima scrivo un brano pensando alla canzone effettiva, poi provo ad arricchirla con elementi di ciò che facevo in passato
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Met Fish, “Ikigai significa ragione di vita, la musica per me è questo”: l’intervista
Met Fish pubblica oggi Ikigai, il disco che è stato anticipato nei mesi scorsi da Megera, I Notturni, Kintsugi e Vite a Metà.
L’album, che è stato annunciato lo scorso anno, esce per Orangle Records e Mendaki Publishing ed è disponibile nei maggiori store online.
Il disco, di sette tracce, è una raccolta di storytelling che raccontano esperienze personali e storie vissute che hanno lasciato qualcosa di indelebile nell’animo dell’artista. Il mood del disco è principalmente cupo a causa dei temi trattati. Nonostante questo, Ikigai invita a non arrendersi e ad apprezzare anche le esperienze negative che, in qualche modo, ci rendono quello che siamo.
I suoni del disco, curati da Polezsky, Kang Brulée, Sinima, Dj Drugo e dallo stesso Met Fish, sono eterogenei pur mantenendo un’impronta boom bap. Fra le collaborazioni troviamo quella con Blue Virus e Lord Madness.
Il disco è Hip Hop e sa farsi apprezzare anche da un pubblico più eterogeneo. In questa piccola intervista abbiamo cercato di capire di più sul disco e su come Met Fish ci ha lavorato.
Ikigai. Come mai questo nome giapponese per il tuo nuovo disco ufficiale?
Il titolo è un omaggio al concetto giapponese “Ikigai” che significa ragione di vita, l’ho scelto perché dopo aver accumulato una serie di esperienze molto tristi e ho deciso di raccontarle per essere di conforto a chi stesse vivendo la mia stessa situazione. Questo tipo di scelta può essere una ragione di vita.
Puoi dirci qualcosa sul disco dal punto di vista tematico?
Le tematiche sono autobiografiche o riguardano persone a me molto care. Quelli principali sono: la ricerca di equilibrio, la scomparsa dei genitori, il tradimento e il conflitto con il proprio io. Poi ci sono tantissime altre tematiche e sfumature che girano attorno a questi concetti base. Nel disco ci sono io. Si tratta di un lavoro molto intimo e diverso rispetto ai dischi del passato.
In che modo la musica ti aiuta?
Mi dà dei momenti di evasione dalla vita quotidiana e dai problemi che mi trovo ad affrontare. Ha un potere salvifico. Non potrei stare senza.
Questo disco è davvero importante perché dopo tantissimi anni hai mostrato il tuo viso. Come è avvenuto tutto ciò?
Ho cambiato approccio mentale, prima ero un “talebano”, una persona alla quale non importava la cultura dell’immagine e dell’apparenza, ma soltanto la qualità della musica. Oggi ho capito che il personaggio va di pari passo con la persona e quindi: giù la maschera.
Nel pezzo con Lord Madness, Vite a Metà, parli di persone che non ci sono più. Come si impara ad accettare la morte?
Purtroppo, non si accetta, ci si convive, e si convive con il rimorso di non aver fatto abbastanza per godere della compagnia di quelle persone in passato. Ciò accade soprattutto durante le festività, quando i posti a tavola sono vuoti, oppure quando ci si vuole scambiare gli auguri ma quelle persone non ci sono più
Tu sei a Roma, ci sono altri artisti di Roma che avresti voluto nel disco?
Mi sarebbe piaciuto lavorare con Squarta, Dj Fastcut e un mostro sacro come Rancore, con il secondo c’è stato un contatto, però per via dei molteplici impegni non siamo riusciti a collaborare.
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Lo ‘’slow pop living’’ da preservare tra le radici degli AlberiNoi nel loro ep d’esordio, ”Aspetta/Espera”
Lo ‘’slow pop living’’ da preservare tra le radici degli AlberiNoi nel loro ep d’esordio, Aspetta/Espera, in uscita il 10 gennaio per Honiro Publishing.
Un extended play che diventa inno del ritmo naturale e psicologico dell’essere umano, quello vero, dentro cui prendersi cura di se stessi, e, allo stesso tempo, un’arma di difesa nei confronti di un mondo frenetico e disumanizzato, meccanico, che pretende l’impossibile. E qui si percepisce nella profondità il messaggio, il leit motiv: per andare oltre i propri limiti bisogna saperli riconoscere e non necessariamente superarli e raggiungere l’estremo, ma avere il proprio fuoco nel senso di equilibrio che, ormai, in un sistema come quello attuale, è quasi utopico. “Abbiamo scelto questo nome per dare importanza ad una parola semplice e potente: ”aspetta”. L’uso dell’italiano e dello spagnolo per il semplice fatto che alcuni di questi pezzi sono stati scritti tra Italia e Spagna per “colpa” di un Erasmus a Granada.In un mondo in cui corre sempre tutto troppo veloce, questa parola acquista un significato dirompente, portando con se un concetto per noi fondamentale: cercare di imparare ad attendere le cose, assaporando il viaggio e non solo la meta. Vogliamo opporci a questa pericolosa frenesia e coltivare il concetto dello “SLOW POP LIVING”, venerazione e costruzione di una vita lenta, ma popolare – ci raccontano gli artisti.
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Pensieri in lo-fi e jazz touch nel nuovo singolo di Polemica, ”Tazza di tè”
Pensieri in lo-fi e jazz touch nel nuovo singolo di Polemica, Tazza di tè, in uscita il 10 gennaio per Honiro Label.
Tra sonorità chill e un filo narrativo originale e poetico, Polemica ritorna con il suo flusso di coscienza alla costante ricerca di una verità, di una propria verità, attraverso cui guardare non solo il mondo che lo circonda, ma in primis se stesso, domandandosi dove si colloca la sua persona, nel marasma di una frenesia quotidiana, di ricordi che lo plasmano e di desideri che lo forgiano. Forse non riusciremo a trovare sempre risposte del tutto convincenti, ma, durante il tragitto, vivremo tappe che riusciranno ad unire i puntini del nostro ritratto interiore.
“La canzone parla di cambiamento, passare da una condizione che non mi appartiene più per cercare la versione migliore di me stesso. Tuttavia, il passaggio non è sempre lineare. Il periodo di cambiamento viene percepito come statico, calmo e riflessivo, tutte sensazioni di cui la “tazza di tè” è metafora. In altri casi, invece, ci si sente come oscillare tra passato e futuro.’’ – ci racconta l’artista.
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